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IL SECONDO LIBRO DEL CORTEGIANO

DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE

A MESSER ALFONSO ARIOSTO

I.

Non senza maraviglia ho piú volte considerato onde nasca unerroreil qualeperciò che universalmente ne' vecchi si vedecreder si poche ad essi sia proprio e naturale; e questo è che quasi tutti laudano i tempipassati e biasmano i presentivituperando le azioni e i modi nostri e tuttoquello che essi nella lor gioventú non facevano; affermando ancor ogni boncostume e bona maniera di vivereogni virtúin somma ogni cosaandar sempredi mal in peggio. E veramente par cosa molto aliena dalla ragione e degna dimaraviglia che la età maturala qual con la lunga esperienzia suol far nelresto il giudicio degli omini piú perfettoin questo lo corrompa tantochenon si avveggano chese 'l mondo sempre andasse peggiorando e che i padrifossero generalmente migliori che i figliolimolto prima che ora saremmo giuntia quest'ultimo grado di maleche peggiorar non po. E pur vedemo che nonsolamente ai dí nostrima ancor nei tempi passatifu sempre questo viciopeculiar di quella età; il che per le scritture de molti autori antichissimichiaro si comprende e massimamente dei comicii quali piú che gli altriesprimeno la imagine della vita umana. La causa adunque di questa falsa opinionenei vecchi estimo io per me ch'ella sia perché gli anni fuggendo se ne portanseco molte commoditàe tra l'altre levano dal sangue gran parte degli spiritivitali; onde la complession si muta e divengono debili gli organiper i qualil'anima opera le sue virtú. Però dei cori nostri in quel tempocome alloautunno le foglie degli albericaggiono i suavi fiori di contento e nel locodei sereni e chiari pensieri entra la nubilosa e turbida tristiziadi millecalamità compagnatadi modo che non solamente il corpoma l'animo ancora èinfermo; né dei passati piaceri riserva altro che una tenace memoria e laimagine di quel caro tempo della tenera etànella quale quando ci ritrovamoci pare che sempre il cielo e la terra ed ogni cosa faccia festa e rida intornoagli occhi nostrie nel pensiero come in un delizioso e vago giardino fioriscala dolce primavera d'allegrezza. Onde forse saria utilequando già nellafredda stagione comincia il sole della nostra vitaspogliandoci de queipiaceriandarsene verso l'occasoperdere insieme con essi ancor la loromemoria e trovarecome disse Temistocleun'arte che a scordar insegnasse;perché tanto sono fallaci i sensi del corpo nostroche spesso ingannano ancorail giudicio della mente. Però parmi che i vecchi siano alla condizion diquelliche partendosi dal porto tengon gli occhi in terra e par loro che lanave stia ferma e la riva si partae pur è il contrario; ché il portoemedesimamente il tempo ed i piacerirestano nel suo statoe noi con la navedella mortalità fuggendo n'andiamo l'un dopo l'altro per quel procelloso mareche ogni cosa assorbe e devorané mai piú ripigliar terra ci è concessoanzisempre da contrari venti combattutial fine in qualche scoglio la naverompemo. Per esser adunque l'animo senile subietto disproporzionato a moltipiacerigustar non gli po; e come ai febrecitantiquando dai vapori corrottihanno il palato guastopaiono tutti i vini amarissimibenché preciosi edelicati sianocosí ai vecchi per la loro indisposizionealla qual però nonmanca il desideriopaiono i piaceri insipidi e freddi e molto differenti daquelli che già provati aver si ricordanobenché i piaceri in sé siano limedesimi; però sentendosene privisi dolgono e biasmano il tempo presente comemalonon discernendo che quella mutazione da sé e non dal tempo procede; eper contrariorecandosi a memoria i passati piacerisi arrecano ancor il temponel quale avuti gli hannoe però lo laudano come bono perché pare che secoporti un odore di quello che in esso sentiamo quando era presente; perché ineffetto gli animi nostri hanno in odio tutte le cose che state sono compagne de'nostri dispiaceri ed amano quelle che state sono compagne dei piaceri. Ondeaccade che ad uno amante è carissimo talor vedere una finestrabenché chiusaperché alcuna volta quivi arà avuto grazia di contemplare la sua donna;medesimamente vedere uno anellouna letteraun giardino o altro loco oqualsivoglia cosache gli paia esser stata consapevol testimonio de' suoipiaceri; e per lo contrariospesso una camera ornatissima e bella sarà noiosaa chi dentro vi sia stato prigione o patito vi abbia qualche altro dispiacere.Ed ho già io conosciuto alcuniche mai non beveriano in un vaso simile aquellonel quale già avesseroessendo infermipreso bevanda medicinale;perchécosí come quella finestrao l'anello o la letteraall'unorappresenta la dolce memoria che tanto gli dilettaper parergli che quella giàfosse una parte de' suoi piacericosí all'altro la camera o 'l vaso par cheinsieme con la memoria rapporti la infirmità o la prigionia. Questa medesimacagion credo che mova i vecchi a laudare il passato tempo e biasmar il presente.

II.

Però come del restocosí parlano ancor delle cortiaffermando quelle di che essi hanno memoria esser state molto piú eccellenti epiene di omini singulariche non son quelle che oggidí veggiamo; e súbito cheoccorrono tai ragionamenticominciano ad estollere con infinite laudi icortegiani del duca Filippoo vero del duca Borso; e narrano i detti di NicolòPiccinino; e ricordano che in quei tempi non si saria trovatose non rarissimevolteche si fosse fatto un omicidio; e che non erano combattimentinoninsidienon ingannima una certa bontà fidele ed amorevole tra tuttiunasicurtà leale; e che nelle corti allor regnavano tanti boni costumitantaonestàche i cortegiani tutti erano come religiosi; e guai a quello che avessedetto una mala parola all'altro o fatto pur un segno men che onesto verso unadonna; e per lo contrario dicono in questi tempi esser tutto l'opposito; e chenon solamente tra i cortegiani è perduto quell'amor fraterno e quel vivercostumatoma che nelle corti non regnano altro che invidie e malivolenziemalicostumi e dissolutissima vita in ogni sorte di vicii; le donne lascive senzavergognagli omini effemminati. Dannano ancora i vestimenticome disonesti etroppo molli. In somma riprendono infinite cosetra le quali molte veramentemeritano riprensioneperché non si po dir che tra noi non siano molti maliomini e sceleratie che questa età nostra non sia assai più copiosa di viciiche quella che essi laudano. Parmi ben che mal discernano la causa di questadifferenzia e che siano sciocchiperché vorriano che al mondo fossero tutti ibeni senza male alcuno; il che è impossibileperchéessendo il malecontrario al bene e 'l bene al maleè quasi necessario che per la opposizionee per un certo contrapeso l'un sostenga e fortifichi l'altroe mancando ocrescendo l'unocosí manchi o cresca l'altro perché niuno contrario è senzal'altro suo contrario. Chi non sa che al mondo non saria la giustiziase nonfossero le ingiurie? la magnanimitàse non fossero li pusilanimi? lacontinenziase non fosse la incontinenzia? la sanitàse non fosse lainfirmità? la veritàse non fosse la bugia? la felicitàse non fossero ledisgrazie? Però ben dice Socrate appresso Platone maravigliarsi che Esopo nonabbia fatto uno apologonel quale fingaDiopoiché non avea mai potuto unireil piacere e 'l dispiacere insiemeavergli attaccati con la estremitàdi modoche 'l principio dell'uno sia il fin dell'altro; perché vedemo niuno piacerpoterci mai esser gratose 'l dispiacere non gli precede. Chi po aver caro ilriposose prima non ha sentito l'affanno della stracchezza? chi gusta ilmangiareil bere e 'l dormirese prima non ha patito famesete e sonno? Credoioadunqueche le passioni e le infirmità siano date dalla natura agli omininon principalmente per fargli soggetti ad esseperché non par conveniente chequellache è madre d'ogni benedovesse di suo proprio consiglio determinatodarci tanti mali; ma facendo la natura la sanitàil piacere e gli altri beniconseguentemente dietro a questi furono congiunte le infirmitài dispiaceri egli altri mali. Peròessendo le virtú state al mondo concesse per grazia edono della naturasúbito i viciiper quella concatenata contrarietànecessariamente le furono compagni; di modo che semprecrescendo o mancandol'unoforza è che cosí l'altro cresca o manchi.

III.

Però quando i nostri vecchi laudano le corti passateperché non aveano gli omini cosí viciosi come alcuni che hanno le nostrenonconoscono che quelle ancor non gli aveano cosí virtuosi come alcuni che hannole nostre; il che non è maravigliaperché niun male è tanto maloquantoquello che nasce dal seme corrotto del bene; e però producendo adesso la naturamolto miglior ingegni che non facea allorasí come quelli che si voltano albene fanno molto meglio che non facean quelli suoicosí ancor quelli che sivoltano al male fanno molto peggio. Non è adunque da dire che quelli cherestavano di far male per non saperlo faremeritassero in quel caso laudealcuna; perché avvenga che facessero poco malefaceano però il peggio chesapeano. E che gli ingegni di que' tempi fossero generalmente molto inferiori aque' che son oraassai si po conoscere da tutto quello che d'essi si vedecosí nelle letterecome nelle pitturestatueedifici ed ogni altra cosa.Biasimano ancor questi vecchi in noi molte cose che in sé non sono né bone némalesolamente perché essi non le faceano; e dicono non convenirsi ai giovanipasseggiar per le città a cavallomassimamente nelle mule; portar fodre dipellené robbe lunghe nel verno; portar berrettafinché almeno non sia l'omogiunto a dieceotto anni ed altre tai cose: di che veramente s'ingannano; perchéquesti costumioltra che sian commodi ed utilisono dalla consuetudineintrodutti ed universalmente piaccionocome allor piacea l'andar in giorneacon le calze aperte e scarpette pulite eper esser galanteportar tutto dí unsparvieri in pugno senza propositoe ballar senza toccar la man della donnaedusar molti altri modii qualicome or sariano goffissimiallor erano prezzatiassai. Però sia licito ancor a noi seguitar la consuetudine de' nostri tempisenza esser calunniati da questi vecchii quali spessovolendosi laudaredicono: "Io aveva vent'anniche ancor dormiva con mia madre e mie sorellené seppi ivi a gran tempo che cosa fossero donne; ed ora i fanciulli non hannoa pena asciutto il capoche sanno piú malizie che in que' tempi non sapeanogli omini fatti"né si avveggono chedicendo cosíconfirmano i nostrifanciulli aver più ingegno che non aveano i loro vecchi. Cessino adunque dibiasmar i tempi nostricome pieni de vicii perchélevando quellilevarianoancora le virtú; e ricordinsi che tra i boni antichinel tempo che fiorivanoal mondo quegli animi gloriosi e veramente divini in ogni virtú e gli ingegnipiú che umanitrovavansi ancor molti sceleratissimi; i qualise vivesserotanto sariano tra i nostri mali eccellenti nel malequanto que' boni nel bene;e de ciò fanno piena fede tutte le istorie.

IV.

Ma a questi vecchi penso che omai a bastanza sia risposto.Però lasciaremo questo discorsoforse ormai troppo diffuso ma non in tutto fordi proposito; e bastandoci aver dimostrato le corti de' nostri tempi non esserdi minor laude degne che quelle che tanto laudano i vecchiattenderemo airagionamenti avuti sopra il cortegianoper i quali assai facilmente comprendersi po in che grado tra l'altre corti fosse quella d'Urbinoe quale era quelPrincipe e quella Signora a cui servivano cosí nobili spiritie come fortunatisi potean dir tutti quelliche in tal commerzio viveano.

V.

Venuto adunque il seguente giornotra i cavalieri e le donnedella corte furono molti e diversi ragionamenti sopra la disputazion dellaprecedente sera; il che in gran parte nasceva perché il signor Prefettoavidodi sapere ciò che detto s'eraquasi ad ognun ne dimandava ecome suol sempreintervenirevariamente gli era risposto; però che alcuni laudavano una cosaalcuni un'altraed ancor tra molti era discordia della sentenzia propria delConteche ad ognuno non erano restate nella memoria cosí compiutamente le cosedette. Però di questo quasi tutto 'l giorno si parlò; e come prima incominciòa farsi nottevolse il signor Prefetto che si mangiasse e tutti i gentilominicondusse seco a cena; e súbito fornito di mangiaren'andò alla stanza dellasignora Duchessa; la quale vedendo tanta compagniae piú per tempo checonsueto non era disse: - Gran peso parmimesser Federicoche sia quello cheposto è sopra le spalle vostree grande aspettazione quella a cui corrisponderdovete -. Quivi non aspettando che messer Federico rispondesse: - E che granpeso è però questo? - disse l'Unico Aretino: - Chi è tanto scioccochequando sa fare una cosa non la faccia a tempo conveniente? - Cosí di questoparlandosiognuno si pose a sedere nel loco e modo usatocon attentissimaaspettazion del proposto ragionamento.

VI.

Allora messer Federicorivolto all'Unico- A voi adunquenon par- disse- signor Unicoche faticosa parte e gran carico mi siaimposto questa seraavendo a dimostrare in qual modo e maniera e tempo debba ilcortegiano usar le sue bone condicionied operar quelle cose che già s'èdetto convenirsegli? - A me non par gran cosa- rispose l'Unico; - e credo chebasti in tutto questo dir che 'l cortegiano sia di bon giudiciocome ierseraben disse il Conte esser necessario; ed essendo cosípenso che senza altriprecetti debba poter usar quello che egli sa a tempo e con bona maniera; il chevolere piú minutamente ridurre in regolasaria troppo difficile e forsesuperfluo; perché non so qual sia tanto inettoche volesse venire a maneggiarl'arme quando gli altri fossero nella musica; o vero andasse per le stradeballando la morescaavvenga che ottimamente far lo sapesse; o vero andando aconfortar una madrea cui fosse morto il figliolocominciasse a dirpiacevolezze e far l'arguto. Certo questo a niun gentilomocredointerverriache non fosse in tutto pazzo. - A me parsignor Unico- disse quivi messerFederico- che voi andiate troppo in su le estremità perché intervien qualchevolta esser inetto di modo che non cosí facilmente si conoscee gli errori nonson tutti pari; e potrà occorrer che l'omo si astenerà da una sciocchezzapublica e troppo chiaracome saria quel che voi dite d'andar ballando lamoresca in piazzae non saprà poi astenersi di laudare se stesso fuor dipropositod'usar una prosunzion fastidiosadi dir talor una parola pensando difar riderela qualper esser detta fuor di temporiuscirà fredda e senzagrazia alcuna. E spesso questi errori son coperti d'un certo veloche scorgernon gli lascia da chi gli fase con diligenzia non vi si mira; e benché permolte cause la vista nostra poco discernapur sopra tutto per l'ambizionedivien tenebrosa; ché ognun volentier si mostra in quello che si persuade disapereo vera o falsa che sia quella persuasione. Però il governarsi bene inquesto parmi che consista in una certa prudenzia e giudicio di elezioneeconoscere il piú e 'l meno che nelle cose si accresce e scema per operarleoportunamente o fuor di stagione. E benché il cortegian sia di cosí bongiudicio che possa discernere queste differenzienon è però che piú facilenon gli sia conseguir quello che cerca essendogli aperto il pensiero con qualcheprecetto e mostratogli le vie e quasi i lochi dove fondar si debbache sesolamente attendesse al generale.

VII.

Avendo adunque il Conte iersera con tanta copia e bel modoragionato della cortegianiain me veramente ha mosso non poco timor e dubbio dinon poter cosí ben satisfare a questa nobil audienza in quello che a me tocca adirecome esso ha fatto in quello che a lui toccava. Purper farmi participepiú ch'io posso della sua laude ed esser sicuro di non errare almen in questapartenon gli contradirò in cosa alcuna. Ondeconsentendo con le opinionisueed oltre al resto circa la nobilità del cortegiano e lo ingegno e ladisposizion del corpo e grazia dell'aspettodico che per acquistar laudemeritamente e bona estimazione appresso ognunoe grazia da quei signori aiquali serveparmi necessario che e' sappia componere tutta la vita sua evalersi delle sue bone qualità universalmente nella conversazion de tutti gliomini senza acquistarne invidia; il che quanto in sé difficil siaconsiderarsi po dalla rarità di quelli che a tal termine giunger si veggono; perché invero tutti da natura siamo pronti piú a biasmare gli erroriche a laudar lecose ben fattee par che per una certa innata malignità moltiancor chechiaramente conoscano il benesi sforzano con ogni studio ed industria ditrovarci dentro o errore o almen similitudine d'errore. Però è necessario che'l nostro cortegiano in ogni sua operazion sia cautoe ciò che dice o fasempre accompagni con prudenzia; e non solamente ponga cura d'aver in sé partie condizioni eccellentima il tenor della vita sua ordini con tal disposizioneche 'l tutto corrisponda a queste partie si vegga il medesimo esser sempre edin ogni cosa tal che non discordi da se stessoma faccia un corpo solo di tuttequeste bone condizioni; di sorte che ogni suo atto risulti e sia composto ditutte le virtúcome dicono i Stoici esser officio di chi è savio; benchéperò in ogni operazion sempre una virtú è la principale; ma tutte sonotalmente tra sé concatenateche vanno ad un fine e ad ogni effetto tuttepossono concorrere e servire. Però bisogna che sappia valersenee per loparagone e quasi contrarietà dell'una talor far che l'altra sia piúchiaramente conosciutacome i boni pittorii quali con l'ombra fanno appareree mostrano i lumi de' rilevie cosí col lume profundano l'ombre dei piani ecompagnano i colori diversi insieme di modoche per quella diversità l'uno el'altro meglio si dimostrae 'l posar delle figure contrario l'una all'altra leaiuta a far quell'officio che è intenzion del pittore. Onde la mansuetudine èmolto maravigliosa in un gentilomo il qual sia valente e sforzato nell'arme; ecome quella fierezza par maggiore accompagnata dalla modestiacosí la modestiaaccresce e piú compar per la fierezza. Però il parlar pocoil far assai e 'lnon laudar se stesso delle opere laudevolidissimulandole di bon modoaccrescel'una e l'altra virtú in persona che discretamente sappia usare questa maniera;e cosí interviene di tutte l'altre bone qualità. Voglio adunque che 'l nostrocortegiano in ciò che egli faccia o dica usi alcune regole universalile qualiio estimo che brevemente contengano tutto quello che a me s'appartien di dire; eper la prima e piú importante fuggacome ben ricordò il Conte ierserasopratutto l'affettazione. Appresso consideri ben che cosa è quella che egli fa odice e 'l loco dove la fain presenzia di cuia che tempola causa perché lafala età suala professioneil fine dove tende e i mezzi che a quellocondur lo possono; e cosí con queste avvertenzie s'accommodi discretamente atutto quello che fare o dir vole -.

VIII.

Poi che cosí ebbe detto messer Federicoparve che sifermasse un poco. Allor súbito- Queste vostre regule- disse il signorMorello da Ortona- a me par che poco insegnino; ed io per me tanto ne so oraquanto prima che voi ce le mostraste; benché mi ricordi ancor qualche altravolta averle udite da' frati co' quali confessato mi sonoe parmi che lechiamino "le circonstanzie" -. Rise allor messer Federico e disse: -Se ben vi ricordavolse iersera il Conte che la prima profession del cortegianofosse quella dell'arme e largamente parlò di che modo far la doveva; peròquesto non replicaremo piú. Pur sotto la nostra regula si potrà ancorintendereche ritrovandosi il cortegiano nella scaramuzza o fatto d'arme obattaglia di terra o in altre cose talidee discretamente procurar diappartarsi dalla moltitudine e quelle cose segnalate ed ardite che ha da farefarle con minor compagnia che po ed al conspetto de tutti i piú nobili edestimati omini che siano nell'esercitoe massimamente alla presenzia esepossibil èinanzi agli occhi proprii del suo re o di quel signore a cui serve;perché in vero è ben conveniente valersi delle cose ben fatte. Ed io estimoche sí come è male cercar gloria falsa e di quello che non si meritacosísia ancor male defraudar se stesso del debito onore e non cercarne quella laudeche sola è vero premio delle virtuose fatiche. Ed io ricordomi aver giàconosciuti di quellicheavvenga che fossero valentipur in questa parteerano grossieri; e cosí metteano la vita a pericolo per andar a pigliar unamandra di pecorecome per esser i primi che montassero le mura d'una terracombattuta; il che non farà il nostro cortegianose terrà a memoria la causache lo conduce alla guerrache dee esser solamente l'onore. E se poi seritroverà armeggiare nei spettaculi publicigiostrandotorneandoo giocandoa canneo facendo qualsivoglia altro esercizio della personaricordandosi illoco ove si trova ed in presenzia di cuiprocurerà esser nell'arme non menoattillato e leggiadro che sicuroe pascer gli occhi dei spettatori di tutte lecose che gli parrà che possano aggiungergli grazia; e porrà cura d'avercavallo con vaghi guarnimentiabiti ben intesimotti appropriatiinvenzioniingenioseche a sé tirino gli occhi de' circonstanticome calamita il ferro.Non sarà mai degli ultimi che compariscano a mostrarsisapendo che i populiemassimamente le donnemirano con molto maggior attenzione i primi che gliultimiperché gli occhi e gli animiche nel principio son avidi di quellanovitànotano ogni minuta cosa e di quella fanno impressione; poi per lacontinuazione non solamente si sazianoma ancora si stancano. Però fu unnobile istrione anticoil qual per questo rispetto sempre voleva nelle fabuleesser il primo che a recitare uscisse. Cosí ancorparlando pur d'armeilnostro cortegiano arà risguardo alla profession di coloro con chi parlaed aquesto accommodarassialtramente ancor parlandone con ominialtramente condonne; e se vorrà toccar qualche cosa che sia in laude sua proprialo faràdissimulatamentecome a caso e per transito e con quella discrezione edavvertenziache ieri ci mostrò il conte Ludovico.

IX.

Non vi par orasignor Morelloche le nostre regule possanoinsegnar qualche cosa? Non vi par che quello amico nostrodel qual pochi dísono vi parlais'avesse in tutto scordato con chi parlava e perchéquandoper intertenere una gentildonnala quale per prima mai piú non aveva vedutanel principio del ragionar le cominciò a dire che avea morti tanti omini e comeera fiero e sapea giocar di spada a due mani? né se le levò da cantochevenne a volerle insegnar come s'avessero a riparar alcuni colpi di accia essendoarmatoe come disarmatoed a mostrarle prese di pugnale; di modo che quellameschina stava in su la croce e parvele un'ora mill'anni levarselo da cantotemendo quasi che non ammazzasse lei ancora come quegli altri. In questi erroriincorrono coloro che non hanno riguardo alle circonstanzieche voi dite averintese dai frati. Dico adunque che degli esercizi del corpo sono alcuni chequasi mai non si fanno se non in publicocome il giostrareil torneareilgiocare a canne e gli altri tutti che dependono dall'arme. Avendosi adunque inquesti da adoperare il nostro cortegianoprima ha da procurar d'esser tantobene ad ordine di cavallid'arme e d'abbigliamentiche nulla gli manchi; e nonsentendosi ben assettato del tuttonon vi si metta per modo alcuno; perchénon facendo benenon si po escusare che questa non sia la profession sua.Appresso dee considerar molto in presenzia di chi si mostra e quali siano icompagni; perché non saria conveniente che un gentilom andasse ad onorare conla persona sua una festa di contadodove i spettatori e i compagni fosserogente ignobile -.

X.

Disse allor il signor Gasparo Pallavicino: - Nel paese nostrodi Lombardia non s'hanno questi rispettianzi molti gentilomini giovanitrovansiche le feste ballano tutto 'l dí nel sole coi villani e con essigiocano a lanciar la barralottarecorrere e saltare; ed io non credo che siamaleperché ivi non si fa paragone della nobilitàma della forza edestrezzanelle quai cose spesso gli omini di villa non vaglion meno che inobili; e par che quella domestichezza abbia in sé una certa liberalitàamabile. - Quel ballar nel sole- rispose messer Federicoa me non piace permodo alcunoné so che guadagno vi si trovi. Ma chi vol pur lottarcorrer esaltar coi villanideeal parer miofarlo in modo di provarsi ecome si suoldirper gentilezzanon per contender con loro; e dee l'omo esser quasi sicurodi vincerealtramente non vi si metta; perché sta troppo male e troppo èbrutta cosa e fuor della dignità vedere un gentilomo vinto da un villanoemassimamente alla lotta; però credo io che sia ben astenersenealmeno inpresenzia di moltiperché il guadagno nel vincere è pochissimo e la perditanell'esser vinto è grandissima. Fassi ancor il gioco della palla quasi semprein publico; ed è uno di que' spettaculia cui la moltitudine apporta assaiornamento. Voglio adunque che questo e tutti gli altridall'armeggiare in forafaccia il nostro cortegiano come cosa che sua professione non sia e di chemostri non cercar o aspettar laude alcunané si conosca che molto studio otempo vi mettaavvenga che eccellentemente lo faccia; né sia come alcuni chesi dilettano di musica e parlando con chi si siasempre che si fa qualche pausanei ragionamenticominciano sotto voce a cantare; altri caminando per le stradee per le chiese vanno sempre ballando; altriincontrandosi in piazza o dove sisia con qualche amico suosi metton súbito in atto di giocar di spada o dilottaresecondo che piú si dilettano -. Quivi disse messer Cesare Gonzaga: -Meglio fa un cardinale giovane che avemo in Romail qualeperché si senteaiutante della personaconduce tutti quelli che lo vanno a visitareancor chemai piú non gli abbia vedutiin un suo giardino ed invitagli con grandissimainstanzia a spogliarsi in giuppone e giocar seco a saltare

XI.

Rise messer Federico; poi suggiunse: - Sono alcuni altrieserciziche far si possono nel publico e nel privatocome è il danzare; ed aquesto estimo io che debba aver rispetto il cortegiano; perché danzando inpresenzia di molti ed in loco pieno di populo parmi che si gli convenga servareuna certa dignitàtemperata però con leggiadra ed aerosa dolcezza dimovimenti; e benché si senta leggerissimo e che abbia tempo e misura assainonentri in quelle prestezze de' piedi e duplicati rebattimentii quali veggiamoche nel nostro Barletta stanno benissimo e forse in un gentilom sariano pococonvenienti; benché in camera privatamentecome or noi ci troviamopenso chelicito gli sia e questoe ballar moresche e brandi; ma in publico non cosífuor che travestitoe benché fosse di modo che ciascun lo conoscessenon dànoia; anzi per mostrarsi in tai cose nei spettaculi publicicon arme e senzaarmenon è miglior via di quella; perché lo esser travestito porta seco unacerta libertà e licenziala quale tra l'altre cose fa che l'omo po pigliareforma di quello in che si sente valereed usar diligenzia ed attillatura circala principal intenzione della cosa in che mostrar si voleed una certasprezzatura circa quello che non importail che accresce molto la grazia: comesaria vestirsi un giovane da vecchioben però con abito discioltoper potersimostrare nella gagliardia; un cavaliero in forma di pastor selvatico o altrotale abitoma con perfetto cavalloe leggiadramente acconcio secondo quellaintenzione; perché súbito l'animo de' circonstanti corre ad imaginar quelloche agli occhi al primo aspetto s'appresenta; e vedendo poi riuscir moltomaggior cosa che non prometteva quell'abitosi diletta e piglia piacere.

Però ad un principe in tai giochi e spettaculioveintervenga fizione di falsi visagginon si converria il voler mantener lapersona del principe proprioperché quel piacere che dalla novità viene aispettatori mancheria in gran parteché ad alcuno non è novo che il principesia il principe; ed essosapendosi cheoltre allo esser principevol avereancor forma di principeperde la libertà di far tutte quelle cose che sonofuor della dignità di principe; e se in questi giochi fosse contenzione alcunamassimamente con armeporia ancor far credere di voler tener la persona diprincipe per non esser battutoma riguardato dagli altri; oltra chefacendonei giochi quel medesimo che dee far da dovero quando fosse bisognolevarial'autorità al vero e pareria quasi che ancor quello fosse gioco; ma in talcasospogliandosi il principe la persona di principe e mescolandosi egualmentecon i minori di sében però di modo che possa esser conosciutocol rifutarela grandezza piglia un'altra maggior grandezzache è il voler avanzar glialtri non d'autorità ma di virtúe mostrar che 'l valor suo non èaccresciuto dallo esser principe.

XII.

Dico adunque che 'l cortegiano dee in questi spettaculid'arme aver la medesima avvertenziasecondo il grado suo. Nel volteggiar poi acavallolottarcorrere e saltarepiacemi molto fuggir la moltitudine dellaplebeo almeno lasciarsi veder rarissime volte; perché non è al mondo cosatanto eccellentedella quale gli ignoranti non si sazieno e non tengan pococontovedendola spesso. E medesimo giudico della musica; però non voglio che'l nostro cortegiano faccia come moltiche súbito che son giunti ove che siae alla presenzia ancor di signori de' quali non abbiano notizia alcunasenzalasciarsi molto pregare si metteno a far ciò che sanno e spesso ancor quel chenon sanno; di modo che par che solamente per quello effetto siano andati a farsivedere e che quella sia la loro principal professione. Venga adunque ilcortegiano a far musica come a cosa per passar tempo e quasi sforzatoe non inpresenzia di gente ignobilené di gran moltitudine; e benché sappia edintenda ciò che fain questo ancor voglio che dissimuli il studio e la faticache è necessaria in tutte le cose che si hanno a far benee mostri estimarpoco in se stesso questa condizionemacol farla eccellentementela facciaestimar assai dagli altri -.

XIII.

Allor il signor Gaspar Pallavicino- Molte sorti di musica- disse- si trovanocosí di voci vivecome di instrumenti; però a mepiacerebbe intendere qual sia la migliore tra tutte ed a che tempo debba ilcortegiano operarla. - Bella musica- rispose messer Federico- parmi ilcantar bene a libro sicuramente e con bella maniera; ma ancor molto piú ilcantare alla viola perché tutta la dolcezza consiste quasi in un solo e conmolto maggior attenzion si nota ed intende il bel modo e l'aria non essendooccupate le orecchie in piú che in una sol vocee meglio ancor vi si discerneogni piccolo errore; il che non accade cantando in compagnia perché l'uno aiutal'altro. Ma sopra tutto parmi gratissimo il cantare alla viola per recitare; ilche tanto di venustà ed efficacia aggiunge alle paroleche è gran maraviglia.Sono ancor armoniosi tutti gli instrumenti da tastiperché hanno leconsonanzie molto perfette e con facilità vi si possono far molte cose cheempiono l'animo di musicale dolcezza. E non meno diletta la musica delle quattroviole da arcola quale è soavissima ed artificiosa. Dà ornamento e graziaassai la voce umana a tutti questi instrumentide' quali voglio che al nostrocortegian basti aver notizia; e quanto piú però in essi sarà eccellentetanto sarà megliosenza impacciarsi molto di quelli che Minerva refiutò edAlcibiadeperché pare che abbiano del schifo. Il tempo poi nel quale usar sipossono queste sorti di musica estimo io che siasempre che l'omo si trova inuna domestica e cara compagniaquando altre facende non vi sono; ma sopra tuttoconviensi in presenzia di donneperché quegli aspetti indolciscono gli animidi chi ode e piú i fanno penetrabili dalla suavità della musicae ancorsvegliano i spiriti di chi la fa; piacemi bencome ancor ho dettoche si fuggala moltitudinee massimamente degli ignobili. Ma il condimento del tuttobisogna che sia la discrezione; perché in effetto saria impossibile imaginartutti i casi che occorrono; e se il cortegiano sarà giusto giudice di sestessos'accommoderà bene ai tempi e conoscerà quando gli animi degliauditori saranno disposti ad udiree quando no; conoscerà l'età sua; ché invero non si conviene e dispare assai vedere un omo di qualche gradovecchiocanuto e senza dentipien di rughecon una viola in braccio sonandocantarein mezzo d'una compagnia di donneavvenga ancor che mediocremente lo facesseequestoperché il piú delle volte cantando si dicono parole amorose e ne'vecchi l'amor è cosa ridicula; benché qualche volta paia che egli si dilettitra gli altri suoi miracolid'accendere in dispetto degli anni i coriagghiacciati -.

XIV.

Rispose allora il Magnifico: - Non privatemesser Federicoi poveri vecchi di questo piacere; perché io già ho conosciuti omini di tempoche hanno voci perfettissime e mani dispostissime agli instrumenti; molto piúche alcuni giovani. - Non voglio- disse messer Federico- privare i vecchi diquesto piacerema voglio ben privar voi e queste donne del ridervi di quellainezia; e se vorranno i vecchi cantare alla violafaccianlo in secreto esolamente per levarsi dell'animo que' travagliosi pensieri e gravi molestie diche la vita nostra è pienae per gustar quella divinità ch'io credo che nellamusica sentivano Pitagora e Socrate. E se bene non la eserciterannoper averfattone già nell'animo un certo abito la gustaran molto piú udendolache chinon ne avesse cognizione; perchésí come spesso le braccia d'un fabrodebilenel restoper esser piú esercitate sono piú gagliarde che quelle de un altroomo robustoma non assueto a faticar le bracciacosí le orecchie esercitatenell'armonia molto meglio e piú presto la discerneno e con molto maggiorpiacere la giudicanoche l'altreper bone ed acute che sianonon essendoversate nelle varietà delle consonanzie musicali; perché quelle modulazioninon entranoma senza lassare gusto di sé via trapassano da canto l'orecchienon assuete d'udirle; avvenga che insino le fiere sentono qualche dilettaziondella melodia. Questo è adunque il piacerche si conviene ai vecchi pigliaredella musica. Il medesimo dico del danzare; perché in vero questi esercizi sideono lasciare prima che dalla età siamo sforzati a nostro dispetto lasciargli.- Meglio è adunque- rispose quivi il signor Morello quasi adirato-escludere tutti i vecchi e dir che solamente i giovani abbian da esser chiamaticortegiani -. Rise allor messer Federicoe disse: - Vedete voisignor Morelloche quelli che amano queste cosese non son giovanisi studiano d'apparere; eperò si tingono i capelli e fannosi la barba due volte la settimana; e ciòprocede che la natura tacitamente loro dice che tali cose non si convengono senon a' giovani -. Risero tutte le donneperché ciascuna comprese che quelleparole toccavano al signor Morello; ed esso parve che un poco se ne turbasse.

XV.

- Ma sono ben degli altri intertenimenti con donne-suggiunse súbito messer Federico- che si convengono ai vecchi. - E quali? -disse el signor Morello; - dir le favole? - E questo ancor- rispose messerFederico. - Ma ogni etàcome sapeteporta seco i suoi pensieri ed ha qualchepeculiar virtú e qualche peculiar vicio; ché i vecchicome che sianoordinariamente prudenti piú che i giovanipiú continenti e piú sagacisonoanco poi piú parlatoriavaridifficilitimidi; sempre cridano in casaasperi ai figliolivogliono che ognun faccia a modo loro; e per contrario igiovanianimosiliberalisincerima pronti alle rissevolubiliche amano edisamano in un puntodati a tutti i lor piacerinimici a chi lor ricorda ilbene. Ma di tutte le età la virile è piú temperatache già ha lassato leparti male della gioventú ed ancor non è pervenuta a quelle della vecchiezza.Questi adunqueposti quasi nelle estremitàbisogna che con la ragion sappianocorreggere i vicii che la natura porge. Però deono i vecchi guardarse dal moltolaudar se stessi e dall'altre cose viciose che avemo detto esser loro proprieevalersi di quella prudenzia e cognizion che per lungo uso avranno acquistataedesser quasi oraculi a cui ognun vada per consiglioed aver grazia in dir quellecose che sannoaccommodatamente ai propositiaccompagnando la gravità deglianni con una certa temperata e faceta piacevolezza. In questo modo saranno bonicortegiani ed interterrannosi bene con omini e con donne ed in ogni temposaranno gratissimisenza cantare o danzare; e quando occorrerà il bisognomostreranno il valor loro nelle cose d'importanzia.

XVI.

Questo medesimo rispetto e giudicio abbian i giovaninongià di tener lo stile dei vecchiché quello che all'uno conviene nonconverrebbe in tutto all'altroe suolsi dir che ne' giovani troppa saviezza èmal segnoma di corregger in sé i vicii naturali. Però a me piace molto vederun giovanee massimamente nell'armeche abbia un poco del grave e deltaciturno; che stia sopra di sésenza que' modi inquieti che spesso in taletà si veggono; perché par che abbian non so che di piú che gli altrigiovani. Oltre a ciò quella maniera cosí riposata ha in sé una certa fierezzariguardevoleperché par mossa non da ira ma da giudicioe piú prestogovernata dalla ragione che dallo appetito; e questa quasi sempre in tutti gliomini di gran core si conosce; e medesimamente vedemola negli animali brutichehanno sopra gli altri nobilità e fortezzacome nello leone e nella aquilanéciò è fuor di ragioneperché quel movimento impetuoso e súbitosenzaparole o altra dimostrazion di collerache con tutta la forza unitamente in untrattoquasi come scoppio di bombardaerumpe dalla quieteche è il suocontrarioè molto piú violento e furioso che quello checrescendo per gradisi riscalda a poco a poco. Però questi chequando son per far qualche impresaparlan tanto e saltanoné possono star fermipare che in quelle tali cose sisvampino ecome ben dice il nostro messer Pietro Montefanno come i fanciulliche andando di notte per paura cantanoquasi che con quel cantare da se stessisi facciano animo. Cosí adunque come in un giovane la gioventú riposata ematura è molto laudevoleperché par che la leggerezzache è vizio peculiardi quella etàsia temperata e correttacosí in un vecchio è da estimareassai la vecchiezza verde e vivaperché pare che 'l vigor dell'animo siatantoche riscaldi e dia forza a quella debile e fredda età e la mantenga inquello stato mediocreche è la miglior parte della vita nostra.

XVII.

Ma in somma non bastaranno ancor tutte queste condizioni delnostro cortegiano per acquistar quella universal grazia de' signoricavalieri edonnese non arà insieme una gentil ed amabile manera nel conversarecottidiano; e di questo credo veramente che sia difficile dar regola alcuna perle infinite e varie cose che occorrono nel conversareessendo che tra tutti gliomini del mondo non si trovano duiche siano d'animo totalmente simili. Peròchi ha da accommodarsi nel conversare con tantibisogna che si guidi col suogiudicio proprio econoscendo le differenzie dell'uno e dell'altroogni dímuti stile e modosecondo la natura di quelli con chi a conversar si mette. Néio per me altre regole circa ciò dare gli saprei eccetto le già datele qualisin da fanciulloconfessandosiimparò il nostro signor Morello -. Rise quivila signora Emilia e disse: - Voi fuggite troppo la faticamesser Federico: manon vi verrà fattoché pur avete da dire fin che l'ora sia d'andare a letto.- E s'ioSignoranon avessi che dire? - rispose messer Federico. Disse lasignora Emilia: - Qui si vederà il vostro ingegno; e se è vero quello ch'iogià ho intesoessersi trovato omo tanto ingenioso ed eloquenteche non glisia mancato subietto per comporre un libro in laude d'una moscaaltri in laudedella febre quartanaun altro in laude del calvizionon dà il core a voiancor di saper trovar che dire per una sera sopra la cortegiania? - Ormai-rispose messer Federico- tanto ne avemo ragionatoche ne sariano fatti doilibri; ma poiché non mi vale escusazionedirò pur fin che a voi paia ch'ioabbia satisfattose non all'obligoalmeno al poter mio.

XVIII.

Io estimo che la conversazionealla quale dee principalmenteattendere il cortegiano con ogni suo studio per farla gratasia quella cheaverà col suo principe; e benché questo nome di conversare importi una certaparitàche pare che non possa cader tra 'l signore e 'l servitorepur noi perora la chiamaremo cosí. Voglio adunque che 'l cortegianooltre lo aver fattoed ogni di far conoscere ad ognuno sé esser di quel valore che già avemodettosi volti con tutti i pensieri e forze dell'animo suo ad amare e quasiadorare il principe a chi serve sopra ogni altra cosa; e le voglie sue e costumie modi tutti indrizzi a compiacerlo -. Quivi non aspettando piúdisse Pietroda Napoli: - Di questi cortegiani oggidí trovarannosi assaiperché mi pareche in poche parole ci abbiate dipinto un nobile adulatore. - Voi vi ingannateassai- rispose messer Federico; - perché gli adulatori non amano i signoriné gli amiciil che io vi dico che voglio che sia principalmente nel nostrocortegiano; e 'l compiacere e secondar le voglie di quello a chi si serve si pofar senza adulareperché io intendo delle voglie che siano ragionevoli edonesteo vero di quelle che in sé non sono né bone né malecome saria ilgiocaredarsi piú ad uno esercizio che ad un altro; ed a questo voglio che ilcortegiano si accommodise ben da natura sua vi fosse alienodi modo chesempre che 'l signore lo veggapensi che a parlar gli abbia di cosa che gli siagrata; il che interverràse in costui sarà il bon giudicio per conoscere ciòche piace al principee lo ingegno e la prudenzia per sapersegli accommodareela deliberata voluntà per farsi piacer quello che forse da natura glidespiacesse; ed avendo queste avvertenzeinanzi al principe non starà mai dimala voglia né melanconiconé cosí taciturnocome molti che par chetenghino briga coi patroniche è cosa veramente odiosa. Non sarà malèdicoespecialmente dei suoi signori; il che spesso intervieneché pare che nellecorti sia una procella che porti seco questa condizione che sempre quelli chesono piú beneficati dai signorie da bassissimo loco ridutti in alto statosempre si dolgono e dicono mal d'essi; il che è disconvenientenon solamente aquesti talima ancor a quelli che fossero mal trattati. Non usarà il nostrocortegiano prosonzione sciocca; non sarà apportator di nove fastidiose; nonsarà inavvertito in dir talor parole che offendano in loco di voler compiacere;non sarà ostinato e contenziosocome alcuniche par che non godano d'altroche d'essere molesti e fastidiosi a guisa di mosche e fanno profession dicontradire dispettosamente ad ognuno senza rispetto; non sarà cianciatorevanoo bugiardovantatore né adulatore inettoma modesto e ritenutousandosempree massimamente in publicoquella reverenzia e rispetto che si convieneal servitor verso il signor; e non farà come molti i qualiincontrandosi conqualsivoglia gran principese pur una sol volta gli hanno parlatose gli fannoinanti con un certo aspetto ridente e da amicocosí come se volesseroaccarezzar un suo equaleo dar favor ad un minore di sé. Rarissime volte oquasi mai non domanderà al signore cosa alcuna per se stessoacciò che quelsignoravendo rispetto di negarla cosí a lui stessotalor non la conceda confastidioche è molto peggio. Domandando ancor per altriosserveràdiscretamente i tempi e domanderà cose oneste e ragionevoli; ed assettaràtalmente la petizion sualevandone quelle parti che esso conoscerà poterdispiacere e facilitando con destrezza le difficultàche 'l signor laconcederà sempreo se pur la negarànon crederà aver offeso colui a chi nonha voluto compiacere: perché spesso i signoripoi che hanno negato una graziaa chi con molta importunità la domandapensano che colui che l'ha domandatacon tanta instanzia la desiderasse molto; ondenon avendo potuto ottenerladebba voler male a chi gliel'ha negata; e per questa credenza essi cominciano adodiare quel talee mai piú nol possono vedere con bon occhio.

XIX.

Non cercherà d'intromettersi in camera o nei lochi secreticol signore suo non essendo richiestose ben sarà di molta autorità; perchéspesso i signoriquando stanno privatamenteamano una certa libertà di dire efar ciò che lor piacee però non vogliono essere né veduti né uditi dapersona da cui possano esser giudicati; ed è ben conveniente. Onde quelli chebiasimano i signori che tengono in camera persone di non molto valore in altrecose che in sapergli ben servire alla personaparmi che facciano erroreperché non so per qual causa essi non debbano aver quella libertà perrelassare gli animi loroche noi ancor volemo per relassare i nostri. Ma se 'lcortegianoconsueto di trattar cose importantisi ritrova poi secretamente incameradee vestirsi un'altra personae differir le cose severe ad altro loco etempo ed attendere a ragionamenti piacevoli e grati al signor suoper nonimpedirgli quel riposo d'animo. Ma in questo ed in ogni altra cosa sopra tuttoabbia cura di non venirgli a fastidio ed aspetti che i favori gli siano offertipiú presto che uccellargli cosí scopertamente come fan moltiche tanto avidine sonoche pare chenon conseguendogliabbiano da perder la vita; e se persorte hanno qualche disfavoreo vero veggono altri esser favoritirestano contanta angoniache dissimular per modo alcuno non possono quella invidia; ondefanno ridere di sé ognuno e spesso sono causa che i signori dian favore a chisi sia solamente per far lor dispetto. Se poi ancor si ritrovano in favor chepassi la mediocritàtanto si inebriano in essoche restano impeditid'allegrezza; né par che sappian ciò che si far delle mani né dei piedi equasi stanno per chiamar la brigata che venga a vedergli e congratularsi secocome di cosa che non siano consueti mai piú d'avere. Di questa sorte non voglioche sia il nostro cortegiano. Voglio ben che ami i favorima non però gliestimi tantoche non paia poter anco star senz'essi; e quando gli conseguenonmostri d'esservi dentro novo né forestieroné maravigliarse che gli sianoofferti; né gli rifuti di quel modo che fanno alcuniche per vera ignoranziarestano d'accettargli e cosí fanno vedere ai circonstanti che se ne conosconoindegni. Dee ben l'omo star sempre un poco piú rimesso che non comporta ilgrado suo; e non accettar cosí facilmente i favori ed onori che gli sonooffertie rifutargli modestamentemostrando estimargli assaicon tal modoperòche dia occasione a chi gli offerisce d'offerirgli con molto maggiorinstanzia; perché quanto piú resistenzia con tal modo s'usa nello accettarglitanto piú pare a quel principe che gli concede d'esser estimato e che la graziache fa tanto sia maggiorequanto piú colui che la riceve mostra apprezzarla epiú di essa tenersi onorato. E questi sono i veri e sodi favorie che fannol'omo esser estimato da chi di fuor li vede; perchénon essendo mendicatiognun presume che nascano da vera virtú; e tanto piúquanto sono accompagnatidalla modestia -.

XX.

Disse allor messer Cesare Gonzaga: - Parmi che abbiate rubatoquesto passo allo Evangeliodove dice: "Quando sei invitato a nozzeva'ed assèttati nell'infimo locoacciò chevenendo colui che t'ha invitatodica: Amicoascendi piú su; e cosí ti sarà onore alla presenzia deiconvitati" -. Rise messer Federico e disse: - Troppo gran sacrilegiosarebbe rubare allo Evangelio; ma voi siete piú dotto nella Sacra Scritturach'io non mi pensava; - poi suggiunse: - Vedete come a gran pericolo si mettanotalor quelli che temerariamente inanzi ad un signore entrano in ragionamentosenza che altri li ricerchi; e spesso quel signoreper far loro scornononrisponde e volge il capo ad un'altra manoe se pur risponde loroognun vedeche lo fa con fastidio. Per aver adunque favore dai signorinon è miglior viache meritargli; né bisogna che l'omo si confidi vedendo un altro che sia gratoad un principe per qualsivoglia cosa di doverper imitarloesso ancormedesimamente venire a quel grado; perché ad ognun non si convien ogni cosa etrovarassi talor un omoil qual da natura sarà tanto pronto alle faceziecheciò che dirà porterà seco il riso e parerà che sia nato solamente perquello; e s'un altro che abbia manera di gravitàavvenga che sia di bonissimoingegnovorrà mettersi far il medesimosarà freddissimo e disgraziatodisorte che farà stomaco a chi l'udirà e riuscirà a punto quell'asinoche adimitazion del cane volea scherzar col patrone. Però bisogna che ognun conoscase stesso e le forze sue ed a quello s'accommodie consideri quali cose ha daimitare e quali no -.

XXI.

- Prima che piú avanti passate- disse quivi VincenzioCalmeta- s'io ho ben intesoparmi che dianzi abbiate detto che la miglior viaper conseguir favori sia il meritargli; e che piú presto dee il cortegianoaspettar che gli siano offertiche prosuntuosamente ricercargli. Io dubitoassai che questa regula sia poco al proposito e parmi che la esperienzia cifaccia molto ben chiari del contrario; perché oggidí pochissimi sono favoritida' signorieccetto i prosuntuosi; e so che voi potete esser bon testimoniod'alcunicheritrovandosi in poca grazia dei lor príncipisolamente con laprosunzione si son loro fatti grati; ma quelli che per modestia siano ascesiioper me non cognosco ed a voi ancor do spacio di pensarvie credo che pochi netrovarete. E se considerate la corte di Franciala qual oggidí è una dellepiú nobili de Cristianitàtrovarete che tutti quelli che in essa hanno graziauniversale tengon del prosuntuoso; e non solamente l'uno con l'altroma col remedesimo. - Questo non dite già- rispose messer Federico; - anzi in Franciasono modestissimi e cortesi gentilomini; vero è che usano una certa libertà edomestichezza senza cerimoniala qual ad essi è propria e naturale; e perònon si dee chiamar prosunzioneperché in quella sua cosí fatta manierabenché ridano e piglino piacere dei prosuntuosipur apprezzano molto quelliche loro paiono aver in sé valore e modestia -. Rispose il Calmeta: - Guardatei Spagnolii quali par che siano maestri della cortegiania e considerate quantine trovateche con donne e con signori non siano prosuntuosissimi; e tanto piúde' Franzesiquanto che nel primo aspetto mostrano grandissima modestia: everamente in ciò sono discreti perchécome ho dettoi signori de' nostritempi tutti favoriscono que' soli che hanno tai costumi -.

XXII.

Rispose allor messer Federico: - Non voglio già comportarmesser Vincenzioche voi questa nota diate ai signori de' nostri tempi; perchépur ancor molti sono che amano la modestiala quale io non dico però che solabasti per far l'uom grato; dico benche quando è congiunta con un gran valoreonora assai chi la possede; e se ella di se stessa tacel'opere laudevoliparlano largamentee son molto piú maravigliose che se fossero compagnatedalla prosunzione e temerità. Non voglio già negar che non si trovino moltiSpagnoli prosuntuosi; dico ben che quelli che sono assai estimatiper il piúsono modestissimi. Ritrovansi poi ancor alcun'altri tanto freddi che fuggono ilconsorzio degli omini troppo fuor di modoe passano un certo grado dimediocritàtal che si fanno estimare o troppo timidi o troppo superbi; equesti per niente non laudoné voglio che la modestia sia tanto asciutta edàrridache diventi rusticità. Ma sia il cortegianoquando gli vien inpropositofacundo e nei discorsi de' stati prudente e savioed abbia tantogiudicioche sappia accommodarsi ai costumi delle nazioni ove si ritrova; poinelle cose piú basse sia piacevole e ragioni ben d'ogni cosa; ma sopra tuttotenda sempre al bene: non invidiosonon maldicente; né mai s'induca a cercargrazia o favor per via viciosané per mezzo di mala sorte -. Disse allora ilCalmeta: - Io v'assicuro che tutte l'altre vie son molto piú dubbiose e piúlungheche non è questa che voi biasimate; perché oggidíper replicarloun'altra voltai signori non amano se non que' che son volti a tal camino. -Non dite cosí- rispose allor messer Federico- perché questo sarebbe troppochiaro argumento che i signori de' nostri tempi fossero tutti viciosi e mali; ilche non èperché pur se ne trovano alcuni di boni. Ma se 'l nostro cortegianoper sorte sua si troverà essere a servicio d'un che sia vicioso e malignosúbito che lo conoscase ne leviper non provar quello estremo affanno chesenton tutti i boni che serveno ai mali. - Bisogna pregar Dio- rispose ilCalmeta- che ce gli dia boniperché quando s'hanno è forza patirgli taliquali sono; perché infiniti rispetti astringono chi è gentilomopoi che hacominciato a servire ad un patronea non lasciarlo; ma la disgrazia consistenel principio; e sono i cortegiani in questo caso alla condizion di que' malavventurati uccelliche nascono in trista valle. - A me pare- disse messerFederico- che 'l debito debba valer piú che tutti i rispetti; e purché ungentilomo non lassi il patrone quando fosse in su la guerra o in qualcheavversitàdi sorte che si potesse credere che ciò facesse per secondar lafortunao per parergli che gli mancasse quel mezzo del qual potesse trarreutilitàda ogni altro tempo credo che possa con ragion e debba levarsi daquella servitúche tra i boni sia per dargli vergogna; perché ognun presumeche chi serve ai boni sia bono e chi serve ai mali sia malo -.

XXIII.

- Vorrei- disse allor il signor Ludovico Pio- che voi michiariste un dubbio ch'io ho nella mente; il qual èse un gentilomomentreche serve ad un principeè obligato ad ubidirgli in tutte le cose che glicommandaancor che fossero disoneste e vituperose. - In cose disoneste nonsiamo noi obligati ad ubedire a persona alcuna- respose messer Federico. - Ecome- replicò il signor Ludovico- s'io starò al servizio d'un principe ilqual mi tratti benee si confidi ch'io debba far per lui ciò che far si pocommandandomi ch'io vada ad ammazzare un omoo far qualsivoglia altra cosadebbo io rifutar di farla? - Voi dovete- rispose messer Federico- ubidire alsignor vostro in tutte le cose che a lui sono utili ed onorevolinon in quelleche gli sono di danno e di vergogna; però se esso vi comandasse che faceste untradimentonon solamente non sète obligato a farloma sète obligato a nonfarloe per voi stessoe per non esser ministro della vergogna del signorvostro. Vero è che molte cose paiono al primo aspetto boneche sono maleemolte paiono malee pur son bone. Però è licito talor per servicio de' suoisignori ammazzare non un omoma diece miliae far molt'altre cosele qualiachi non le considerasse come si deepareriano malee pur non sono -. Risposeallor il signor Gaspar Pallavicino: - Dehper vostra féragionate un pocosopra questoed insegnateci come si possan discerner le cose veramente bonedalle apparenti. - Perdonatemi- disse messer Federico; - io non voglio entrarquaché troppo ci saria che direma il tutto si rimetta alla discrezionvostra -.

XXIV.

- Chiaritemi almen un altro dubbio- replicò il signorGasparo. - E che dubbio? - disse messer Federico. - Questo- rispose il signorGasparo: - Vorrei sapereessendomi imposto da un mio signor terminatamentequello ch'io abbia a fare in una impresa o negocio di qualsivoglia sortes'ioritrovandomi in fattoe parendomi con l'operare piú o meno o altrimenti diquello che m'è stato impostopoter fare succedere la cosa piú prosperamente ocon piú utilità di chi m'ha dato tal caricodebbo io governarmi secondoquella prima norma senza passar i termini del comandamentoo pur far quello chea me pare esser meglio? - Rispose allora messer Federico: - Iocirca questovidarei la sentenzia con lo esempio di Manlio Torquatoche in tal caso per troppopietà uccise il figliolose lo estimasse degno di molta laudeche in vero nonl'estimo; benché ancor non oso biasmarlocontra la opinion di tanti seculi:perché senza dubbio è assai pericolosa cosa desviare dai comandamenti de' suoimaggioriconfidandosi piú del giudicio di se stessi che di quegli ai qualiragionevolmente s'ha da ubedire; perché se per sorte il pensier vien fallito ela cosa succeda maleincorre l'omo nell'error della disubidienza e ruina quelloche ha da far senza via alcuna di escusazione o speranza di perdono; se ancor lacosa vien secondo il desideriobisogna laudarne la ventura e contentarsene. Purcon tal modo s'introduce una usanza d'estimar poco i comandamenti de' superiori;e per esempio di quello a cui sarà successo beneil quale forse sarà prudenteed arà discorso con ragione ed ancor sarà stato aiutato dalla fortunavorranno poi mille altri ignoranti e leggeri pigliar sicurtà nelle coseimportantissime di far a lor modoe per mostrar d'esser savi ed aver autoritàdesviar dai comandamenti de' signori: il che è malissima cosae spesso causad'infiniti errori. Ma io estimo che in tal caso debba quello a cui toccaconsiderar maturamentee quasi porre in bilancia il bene e la commodità chegli è per venire del fare contra il commandamento ponendo che 'l disegno suogli succeda secondo la speranza; dall'altra bandacontrapesare il male e laincommodità che gliene nascese per sortecontrafacendo al commandamentolacosa gli vien mal fatta; e conoscendo che 'l danno possa esser maggiore e dipiú importanzia succedendo il maleche la utilità succedendo il benedeeastenersene e servar a puntino quello che imposto gli è; e per contrariose lautilità è per esser di piú importanzia succedendo il beneche 'l dannosuccedendo il malecredo che possa ragionevolmente mettersi a far quello chepiú la ragione e 'l giudicio suo gli dettae lasciar un poco da canto quellapropria forma del commandamento; per fare come i boni mercatantili quali perguadagnare l'assaiavventurano il pocoma non l'assai per guadagnar il poco.Laudo ben che sopra tutto abbia rispetto alla natura di quel signore a cui servee secondo quella si governi; perché se fosse cosí austeracome di molti chese ne trovanoio non lo consigliarei maise amico mio fosseche mutasse inparte alcuna l'ordine datogli: acciò che non gl'intravenisse quel che si scriveesser intervenuto ad un maestro ingegnero d'Ateniesial qualeessendo PublioCrasso Muziano in Asia e volendo combattere una terramandò a dimandare un de'dui alberi da nave che esso in Atene avea vedutoper far uno ariete da battereil muroe disse voler il maggiore. L'ingegnerocome quello che eraintendentissimoconobbe quel maggiore esser poco a proposito per tal effetto; eper esser il minore piú facile a portare ed ancor piú conveniente a far quellamachinamandollo a Muziano. Essointendendo come la cosa era itafecesi venirquel povero ingegnero e domandatogli perché non l'avea ubiditonon volendoammettere ragione alcuna che gli dicesselo fece spogliar nudo e battere efrustare con verghe tanto che si moríparendogli che in loco d'ubidirlo avessevoluto consigliarlo; sí che con questi cosí severi omini bisogna usar moltorispetto.

XXV.

Ma lasciamo da canto omai questa pratica de' signori evengasi alla conversazione coi pari o poco diseguali; ché ancor a questabisogna attendere per esser universalmente piú frequentata e trovarsi l'omopiú spesso in questache in quella de' signori. Benché son alcuni sciocchiche se fossero in compagnia del maggior amico che abbiano al mondoincontrandosi con un meglio vestitosúbito a quel si attaccano; se poi gli neoccorre un altro megliofanno pur il medesimo. E quando poi il principe passaper le piazzechieseo altri lochi publicia forza di cubiti si fanno farstrada a tuttitanto che se gli metteno al costato; e se ben non hanno chedirglipur lor voglion parlare e tengono lunga la diceriae ridenoe battenole mani e 'l capoper mostrar ben aver facende di importanziaacciò che 'lpopulo gli vegga in favore. Ma poiché questi tali non si degnano di parlare senon coi signoriio non voglio che noi degnimo parlar d'essi -.

XXVI.

Allora il Magnifico Iuliano- Vorrei- disse- messerFedericopoiché avete fatto menzion di questi che s'accompagnano cosívoluntieri coi ben vestitiche ci mostraste di qual manera si debba vestire ilcortegiano e che abito piú se gli convengae circa tutto l'ornamento del corpoin che modo debba governarsi; perché in questo veggiamo infinite varietà; echi si veste alla franzesechi alla spagnolachi vol parer tedesco; né cimancano ancor di quelli che si vestono alla foggia de' Turchi; chi porta labarbachi no. Saria adunque ben fatto saper in questa confusione eleggere ilmeglio -. Disse messer Federico: - Io in vero non saprei dar regula determinatacirca il vestirese non che l'uom s'accommodasse alla consuetudine dei piú; epoichécome voi ditequesta consuetudine è tanto varia e che gli Italianitanto son vaghi d'abbigliarsi alle altrui foggecredo che ad ognuno sia licitovestirsi a modo suo. Ma io non so per qual fato intervenga che la Italia nonabbiacome soleva avereabito che sia conosciuto per italiano; chebenché loaver posto in usanza questi novi faccia parer quelli primi goffissimipurquelli forse erano segno di libertàcome questi son stati augurio di servitú;il quale ormai parmi assai chiaramente adempiuto. E come si scrive cheavendoDario l'anno prima che combattesse con Alessandro fatto acconciar la spada cheegli portava a cantola quale era persianaalla foggia di Macedoniafuinterpretato dagli indovini che questo significavache coloronella foggia de'quali Dario avea tramutato la forma della spada persianaverriano a dominar laPersia; cosí l'aver noi mutato gli abiti italiani nei stranieri parmi chesignificassetutti quellinegli abiti de' quali i nostri erano trasformatidever venire a subiugarci; il che è stato troppo piú che veroché ormai nonresta nazione che di noi non abbia fatto predatanto che poco piú resta chepredare e pur ancor di predar non si resta.

XXVII.

Ma non voglio che noi entriamo in ragionamenti di fastidio;però ben sarà dir degli abiti del nostro cortegiano; i quali io estimo chepur che non siano fuor della consuetudinené contrari alla professionepossano per lo resto tutti star benepur che satisfacciano a chi gli porta.Vero è ch'io per me amerei che non fossero estremi in alcuna partecome talorsòl essere il franzese in troppo grandezza e 'l tedesco in troppo piccolezzama come sono e l'uno e l'altro corretti e ridutti in meglior forma dagliItaliani. Piacemi ancor sempre che tendano un poco piú al grave e riposatocheal vano; però parmi che maggior grazia abbia nei vestimenti il color nerochealcun altro; e se pur non è neroche almen tenda al scuro; e questo intendodel vestir ordinarioperché non è dubbio che sopra l'arme piú si convengancolori aperti ed allegried ancor gli abiti festivitrinzatipomposi esuperbi. Medesimamente nei spettaculi publici di festedi giochidi mascare edi tai cose; perché cosí divisati portan seco una certa vivezza ed alacritàche in vero ben s'accompagna con l'arme e giochi; ma nel resto vorrei chemostrassino quel riposo che molto serva la nazion spagnolaperché le coseestrinseche spesso fan testimonio delle intrinseche -. Allor disse messer CesareGonzaga: - Questo a me daria poca noia perchése un gentilom nelle altre cosevaleil vestire non gli accresce né scema mai riputazione -. Rispose messerFederico: - Voi dite il vero. Pur qual è di noi chevedendo passeggiar ungentilomo con una robba addosso quartata di diversi colorio vero con tantestringhette e fettuzze annodate e fregi traversatinon lo tenesse per pazzo oper buffone? - Né pazzoné buffone- disse messer Pietro Bembo- sarebbecostui tenuto da chi fosse qualche tempo vivuto nella Lombardia perché cosívanno tutti. - Adunque- rispose la signora Duchessa ridendo- se cosí vannotuttiopporre non se gli dee per vizioessendo a loro questo abito tantoconveniente e proprio quanto ai Veneziani il portar le maniche a cómeo ed aiFiorentini il capuzzo. - Non parlo io- disse messer Federico- piú dellaLombardia che degli altri lochiperché d'ogni nazion se ne trovano e disciocchi e d'avveduti. Ma per dir ciò che mi par d'importanzia nel vestirevoglio che 'l nostro cortegiano in tutto l'abito sia pulito e delicato ed abbiauna certa conformità di modesta attillatura ma non però di manera feminile ovanané piú in una cosa che nell'altracome molti ne vedemoche pongontanto studio nella capigliaturache si scordano il resto; altri fan professionede dentialtri di barbaaltri di borzachinialtri di berrettealtri dicuffie; e cosí intervien che quelle poche cose piú culte paiono lor prestatee tutte l'altre che sono sciocchissime si conoscono per le loro. E questo talcostume voglio che fugga il nostro cortegianoper mio consiglio; aggiungendoviancor che debba fra se stesso deliberar ciò che vol parere e di quella sorteche desidera esser estimatodella medesima vestirsie far che gli abiti loaiutino ad esser tenuto per tale ancor da quelli che non l'odono parlarenéveggono far operazione alcuna -.

XXVIII.

- A me non pare- disse allor el signor Gaspar Pallavicino- che si convengané ancor che s'usi tra persone di valore giudicar lacondicion degli omini agli abitie non alle parole ed alle opereperché moltis'ingannariano; né senza causa dicesi quel proverbio che l'abito non fa 'lmonaco. - Non dico iorispose messer Federico- che per questo solo s'abbianoa far i giudici resoluti delle condizion degli omininé che piú non siconoscano per le parole e per l'opere che per gli abiti; dico ben che ancorl'abito non è piccolo argomento della fantasia di chi lo portaavvenga chetalor possa esser falso; e non solamente questoma tutti i modi e costumioltre all'opere e parolesono giudicio delle qualità di colui in cui siveggono. - E che cose trovate voi- rispose il signor Gasparo- sopra le qualinoi possiam far giudicioche non siano né parole né opere? - Disse allormesser Federico: - Voi sète troppo sottile loico. Ma per dirvi come io intendosi trovano alcune operazioni che poi che son fatte restano ancoracomel'edificarescrivere ed altre simili; altre non restanocome quelle di che iovoglio ora intendere: però non chiamo in questo proposito che 'l passeggiareridereguardare e tai cosesiano operazioni; e pur tutto questo di fuori dànotizia spesso di quel dentro. Diteminon faceste voi giudicio che fosse unvano e legger omo quello amico nostrodel quale ragionammo pur questa mattinasùbito che lo vedeste passeggiar con quel torzer di capodimenandosi tuttoedinvitando con aspetto benigno la brigata a cavarsegli la berretta? Cosí ancoraquando vedete uno che guarda troppo intento con gli occhi stupidi a foggiad'insensatoo che rida cosí scioccamente come que' mutoli gozzuti dellemontagne di Bergamoavvenga che non parli o faccia altronon lo tenete voi perun gran babuasso? Vedete adunque che questi modi e costumiche io non intendoper ora che siano operazionifanno in gran parte che gli omini sianoconosciuti.

XXIX.

Ma un'altra cosa parmi che dia e lievi molto la riputazionee questa è la elezion degli amici coi quali si ha da tenere intrinseca pratica;perché indubitatamente la ragion vol che di quelli che sono con strettaamicizia ed indissolubil compagnia congiuntisiano ancor le voluntàglianimii giudici e gli ingegni conformi. Cosíchi conversa con ignoranti omali è tenuto per ignorante o malo; e per contrario chi conversa con boni esavi e discreti è tenuto per tale; ché da natura par che ogni cosa volentierisi congiunga col suo simile. Però gran riguardo credo che si convenga aver nelcominciar queste amicizieperché di dui stretti amici chi conosce l'unosúbito imagina l'altro esser della medesima condizione -. Rispose allor messerPietro Bembo: - Del restringersi in amicizia cosí unanimecome voi diteparmiveramente che si debba aver assai riguardonon solamente per l'acquistar operdere la riputazionema perché oggidí pochissimi veri amici si trovanonécredo che piú siano al mondo quei Piladi ed OrestiTesei e PiritoinéScipioni e Lelii; anzi non so per qual destin interviene ogni dí che dui amicii quali saranno vivuti in cordialissimo amore molt'annipur al fine l'unl'altro in qualche modo s'ingannanoo per malignitào per invidiao perleggerezzao per qualche altra mala causa; e ciascun dà la colpa al compagnodi quelloche forse l'uno e l'altro la merita. Però essendo a me intervenutopiú d'una volta l'esser ingannato da chi piú amava e da chi sopra ogni altrapersona aveva confidenzia d'esser amatoho pensato talor da me a me che sia bennon fidarsi mai di persona del mondoné darsi cosí in preda ad amicopercaro ed amato che siache senza riserva l'omo gli comunichi tutti i suoipensieri come farebbe a se stesso; perché negli animi nostri sono tante latebree tanti recessiche impossibil è che prudenzia umana possa conoscer quellesimulazioniche dentro nascose vi sono. Credo adunque che ben sia amare eservire l'un piú che l'altrosecondo i meriti e 'l valore; ma non peròassicurarsi tanto con questa dolce esca d'amiciziache poi tardi se n'abbiamo apentire -.

XXX.

Allor messer Federico- Veramente- disse- molto maggiorsaria la perdita che 'l guadagnose del consorzio umano si levasse quel supremogrado d'amicizia chesecondo meci dà quanto di bene ha in sé la vitanostra; e però io per alcun modo non voglio consentirvi che ragionevol siaanzi mi daria il core di concludervie con ragioni evidentissimeche senzaquesta perfetta amicizia gli omini sariano piú infelici che tutti gli altrianimali; e se alcuni guastanocome profaniquesto santo nome d'amicizianonè però da estirparla cosí degli animi nostri e per colpa dei mali privar iboni di tanta felicità. Ed io per me estimo che qui tra noi sia piú di un pardi amicil'amor de' quali sia indissolubile e senza inganno alcunoe per durarfin alla morte con le voglie conforminon meno che se fossero quegli antichiche voi dianzi avete nominati; e cosí interviene quandooltre alla inclinazionche nasce dalle stellel'omo s'elegge amico a sé simile di costumi; e 'l tuttointendo che sia tra boni e virtuosiperché l'amicizia de' mali non èamicizia. Laudo ben che questo nodo cosí stretto non comprenda o leghi piú cheduiché altramente forse saria pericoloso; perchécome sapetepiúdifficilmente s'accordano tre instromenti di musica insiemeche dui. Vorreiadunque che 'l nostro cortegiano avesse un precipuo e cordial amicose possibilfossedi quella sorte che detto avemo; poisecondo 'l valore e meritiamasseonorasse ed osservasse tutti gli altrie sempre procurasse d'intertenersi piúcon gli estimati e nobili e conosciuti per boniche con gli ignobili e di pocopregio; di manera che esso ancor da loro fosse amato ed onorato; e questo gliverrà fatto se sarà corteseumanoliberaleaffabile e dolce in compagniaofficioso e diligente nel servire e nell'aver cura dell'utile ed onor degliamici cosí assenti come presentisupportando i lor diffetti naturali esupportabilisenza rompersi con essi per piccol causae correggendo in sestesso quelli che amorevolmente gli saranno ricordati; non si anteponendo maiagli altri con cercar i primi e i piú onorati lochiné con fare come alcuniche par che sprezzino il mondo e vogliano con una certa austerità molesta darlegge ad ognuno; ed oltre allo essere contenziosi in ogni minima cosa e fuor ditemporiprender ciò che essi non fanno e sempre cercar causa di lamentarsidegli amici; il che è cosa odiosissima -.

XXXI.

Quivi essendosi fermato di parlare messer Federico- Vorrei- disse il signor Gasparo Pallavicino- che voi ragionaste un poco piúminutamente di questo conversar con gli amici che non fate; ché in vero vitenete molto al generale e quasi ci mostrate le cose per transito. - Come pertransito? - rispose messer Federico. - Vorreste voi forse che io vi dicessiancor le parole proprie che si avessero ad usare? non vi par adunque che abbiamoragionato a bastanza di questo? - A bastanza parmi- rispose el signor Gasparo.- Pur desidero io d'intendere qualche particularità ancor della foggia dell'intertenersicon omini e con donne; la qual cosa a me par di molta importanziaconsideratoche 'l piú del tempo in ciò si dispensa nelle corti; e se questa fosse sempreuniformepresto verria a fastidio. - A me pare- rispose messer Federico-che noi abbiam dato al cortegiano cognizion di tante coseche molto ben povariar la conversazione ed accommodarsi alle qualità delle persone con le quaiha da conversarepresuponendo che egli sia di bon giudicio e con quello sigovernie secondo i tempi talor intenda nelle cose gravitalor nelle feste egiochi. - E che giochi? - disse il signor Gasparo. Rispose allor messer Federicoridendo: - Dimandiamone consiglio a fra Serafinoche ogni dí ne trova de'novi. - Senza motteggiare- replicò il signor Gasparo- parvi che sia vicionel cortegiano il giocare alle carte ed ai dadi? - A me no- disse messerFedericoeccetto a cui nol facesse troppo assiduamente e per quello lasciassel'altre cose di maggior importanziao veramente non per altro che per vincerdenaried ingannasse il compagno e perdendo mostrasse dolore e dispiacere tantograndeche fosse argomento d'avarizia -. Rispose il signor Gasparo: - E chedite del gioco de' scacchi? - Quello certo è gentile intertenimento edingenioso- disse messer Federico- ma parmi che un sol diffetto vi si trovi;e questo è che se po saperne troppodi modo che a cui vol esser eccellente nelgioco de' scacchi credo bisogni consumarvi molto tempo e mettervi tanto studioquanto se volesse imparar qualche nobil scienziao far qualsivoglia altra cosaben d'importanzia; e pur in ultimo con tanta fatica non sa altro che un gioco;però in questo penso che intervenga una cosa rarissimacioè che lamediocrità sia piú laudevole che la eccellenzia -. Rispose il signor Gasparo:- Molti Spagnoli trovansi eccellenti in questo ed in molti altri giochii qualiperò non vi mettono molto studioné ancor lascian di far l'altre cose. -Credete- rispose messer Federico- che gran studio vi mettanobenchédissimulatamente. Ma quegli altri giochi che voi diteoltre agli scacchiforsesono come molti ch'io ne ho veduti fare pur di poco momentoi quali non servenose non a far maravigliare il vulgo; però a me non pare che meritino altra laudené altro premioche quello che diede Alessandro Magno a colui chestandoassai lontanocosí ben infilzava i ceci in un ago.

XXXII.

Ma perché par che la fortunacome in molte altre cosecosí ancor abbia grandissima forza nelle opinioni degli ominivedesi talor cheun gentilomoper ben condizionato che egli sia e dotato di molte graziesaràpoco grato ad un signore ecome si dicenon gli arà sanguee questo senzacausa alcuna che si possa comprendere; però giungendo alla presenzia di quelloe non essendo dagli altri per prima conosciutobenché sia arguto e prontonelle risposte e si mostri bene nei gestinelle manerenelle parole ed in ciòche si convienequel signore poco mostrarà d'estimarloanzi piú presto glifarà qualche scorno; e da questo nascerà che gli altri súbito s'accommodarannoalla voluntà del signore e ad ognun parerà che quel tale non vagliané saràpersona che l'apprezzi o stimio rida de' suoi detti piacevolio ne tengaconto alcuno; anzi cominciaranno tutti a burlarlo e dargli la caccia; né a quelmeschino basteran bone rispostené pigliar le cose come dette per gioco chéinsino a' paggi si gli metteranno attornodi sorta chese fosse il piúvaloroso uomo del mondosarà forza che resti impedito e burlato. E percontrario se 'l principe se mostrarà inclinato ad un ignorantissimoche nonsappia né dir né faresaranno spesso i costumi e i modi di quellopersciocchi ed inetti che sianolaudati con le esclamazioni e stupore da ognunoeparerà che tutta la corte lo ammiri ed osservie ch'ognun rida de' suoi mottie di certe arguzie contadinesche e freddeche piú presto devrian mover vomitoche riso: tanto son fermi ed ostinati gli omini nelle opinioni che nascono da'favori e disfavori de' signori. Però voglio che 'l nostro cortegianoil meglioche pooltre al valore s'aiuti ancora con ingegno ed arte; e sempre che had'andare in loco dove sia novo e non conosciutoprocuri che prima vi vada labona opinion di sé che la personae faccia che ivi s'intenda che esso in altrilochiappresso altri signoridonne e cavalierisia ben estimato; perchéquella fama che par che nasca da molti giudici genera una certa ferma credenzadi valoreche poitrovando gli animi cosí disposti e preparatifacilmentecon l'opere si mantiene ed accresce; oltra che si fugge quel fastidio ch'iosentoquando mi viene domandato chi sono e quale è il nome mio -.

XXXIII.

- Io non so come questo giovi- rispose messer BernardoBibiena; - perché a me piú volte è intervenuto ecredoa molt'altricheavendomi formato nell'animoper detto di persone di giudiciouna cosa esser dimolta eccellenzia prima che veduta l'abbiavedendola poiassai mi è mancata edi gran lunga restato son ingannato di quello ch'io estimava; e ciò d'altro nonè proceduto che dall'aver troppo creduto alla fama ed aver fatto nell'animo mioun tanto gran concettochemisurandolo poi col verol'effetto avvenga che siastato grande ed eccellentealla comparazion di quello che imaginato avevam'èparso piccolissimo. Cosí dubito ancor che possa intervenir del cortegiano.Però non so come sia bene dar queste aspettazioni e mandar innanzi quella fama;perché gli animi nostri spesso formano cose alle quali impossibil è poicorrisponderee cosí piú se ne perde che non si guadagna -. Quivi dissemesser Federico: - Le cose che a voi ed a molt'altri riescono minori assai chela famason per il piú di sorteche l'occhio al primo aspetto le pogiudicare; come se voi non sarete mai stato a Napoli o a Romasentendoneragionar tanto imaginarete piú assai di quello che forse poi alla vista viriuscirà; ma delle condizioni degli omini non intervien cosíperché quelloche si vede di fuori è il meno. Però se 'l primo giornosentendo ragionare ungentilomonon comprenderete che in lui sia quel valore che avevate primaimaginatonon cosí presto vi spogliarete della bona opinione come in quellecose delle quali l'occhio súbito è giudicema aspettarete di dí in díscoprir qualche altra nascosta virtú tenendo pur ferma sempre quellaimpressione che v'è nata dalle parole di tanti; ed essendo poi questo (come iopresupongo che sia il nostro cortegiano) cosí ben qualificatoogn'ora megliovi confermarà a credere a quella famaperché con l'opere ve ne darà causaevoi sempre estimarete qualche cosa piú di quello che vederete -.

XXXIV.

E certo non si po negar che queste prime impressioni nonabbiano grandissima forza e che molta cura aver non vi si debba; ed acciò checomprendiate quanto importinodicovi che io ho a' miei dí conosciuto ungentilomoil qualeavvenga che fosse di assai gentil aspetto e di modesticostumi ed ancor valesse nell'armenon era però in alcuna di queste condizionitanto eccellenteche non se gli trovassino molti pari ed ancor superiori. Purcome la sorte sua volseintervenne che una donna si voltò ad amarloferventissimamente; e crescendo ogni dí questo amore per la dimostrazion dicorrespondenzia che faceva il giovanee non vi essendo modo alcun da potersiparlare insiemespinta la donna da troppo passionescoperse il suo desiderioad un'altra donnaper mezzo della quale sperava qualche commodità. Questa nédi nobiltà né di bellezza non era punto inferior alla prima; onde intervenneche sentendo ragionare cosí affettuosamente di questo giovaneil qual essa mainon aveva vedutoe conoscendo che quella donnala quale ella sapeva ch'eradiscretissima e d'ottimo giudiciol'amava estremamentesúbito imaginò checostui fosse il piú bello e 'l piú savio e 'l piú discreto ed in somma ilpiú degno omo da esser amatoche al mondo si trovasse; e cosísenza vederlotanto fieramente se ne innamoròche non per l'amica sua ma per se stessacominciò a far ogni opera per acquistarlo e farlo a sé corrispondente inamore; il che con poca fatica le venne fattoperché in vero era donna piúpresto da esser pregatache da pregare altrui. Or udite bel caso. Non moltotempo appresso occorse che una letterala qual scrivea questa ultima donna alloamantepervenne in mano d'un'altra pur nobilissima e di costumi e di bellezzararissimala quale essendocome è il piú delle donnecuriosa e cupida disaper secretie massimamente d'altre donneaperse questa letterae leggendolacomprese ch'era scritta con estremo affetto d'amore; e le parole dolci e pienedi foco che ella lesseprima la mossero a compassion di quella donnaperchémolto ben sapea da chi veniva la lettera ed a cui andava; poi tanta forzaebberoche rivolgendole nell'animo e considerando di che sorte doveva essercolui che avea potuto indur quella donna a tanto amoresúbito essa ancor se neinnamorò; e fece quella lettera forse maggior effettoche non averia fatto sedal giovane a lei fosse stata mandata. E come talor interviene che 'l veneno inqualche vivanda preparato per un signore ammazza il primo che 'l gustacosíquesta meschinaper esser troppo ingordabevvé quel veneno amoroso che peraltrui era preparato. Che vi debbo io dire? la cosa fu assai palese ed andò dimodoche molte donne oltre a questeparte per far dispetto all'altreparteper far come l'altreposero ogni industria e studio per goder dell'amore dicostui e ne fecero per un tempo alla grappacome i fanciulli delle cerase; etutto procedette dalla prima opinione che prese quella donnavedendolo tantoamato da un'altra -.

XXXV.

Or quivi ridendo rispose il signor Gasparo Pallavicino: - Voiper confirmare il parer vostro con ragione m'allegate opere di donnele qualiper lo piú son fuori d'ogni ragione; e se voi voleste dir ogni cosaquestocosí favorito da tante donne dovea essere un nescio e da poco omo in effetto;perché usanza loro è sempre attaccarsi ai peggiori ecome le pecorefarquello che veggon fare alla primao bene o male che si sia; oltra che son tantoinvidiose tra séche se costui fosse stato un monstropur averian volutorubarsilo l'una all'altra -. Quivi molti comincioronoe quasi tuttia volercontradire al signor Gasparo; ma la signora Duchessa impose silenzio a tutti;poipur ridendodisse: - Se 'l mal che voi dite delle donne non fosse tantoalieno dalla veritàche nel dirlo piú tosto desse carico e vergogna a chi lodice che ad esseio lassarei che vi fosse risposto; ma non voglio che colcontradirvi con tante ragioni come si poriasiate rimosso da questo malcostumeacciò che del peccato vostro abbiate gravissima pena; la qual sarà lamala opinion che di voi pigliaran tutti quelliche di tal modo vi sentirannoragionare -. Allor messer Federico- Non ditesignor Gasparo- rispose- chele donne siano cosí fuor di ragionese ben talor si moveno ad amar piú perl'altrui giudicio che per lo loro; perché i signori e molti savi omini spessofanno il medesimo; e se licito è dir il verovoi stesso e noi altri tuttimolte volteed ora ancorcredemo piú alla altrui opinione che alla nostrapropria. E che sia 'l veronon è ancor molto tempoche essendo appresentatiqui alcuni versi sotto 'l nome del Sanazaroa tutti parvero molto eccellenti efurono laudati con le maraviglie ed esclamazioni; poisapendosi per certo cheerano d'un altropersero súbito la reputazione e parvero men che mediocri. Ecantandosi pur in presenzia della signora Duchessa un mottettonon piacque mainé fu estimato per bonofin che non si seppe che quella era composizion diJosquin de Pris. Ma che piú chiaro segno volete voi della forza della opinione?Non vi ricordate chebevendo voi stesso d'un medesimo vinodicevate talor cheera perfettissimotalor insipidissimo? e questo perché a voi era persuaso cheeran dui vinil'un di Rivera di Genoa e l'altro di questo paese; e poi ancorche fu scoperto l'erroreper modo alcuno non volevate crederlotantofermamente era confermata nell'animo vostro quella falsa opinionela qual peròdalle altrui parole nasceva.

XXXVI.

Deve adunque il cortegiano por molta cura nei princípi didar bona impression di sé e considerar come dannosa e mortal cosa sia loincorrer nel contrario; ed a tal pericolo stanno piú che gli altri quei chevoglion far profession d'esser molto piacevolied aversi con queste suepiacevolezze acquistato una certa libertàper la qual lor convenga e sialicito e fare e dire ciò che loro occorre cosí senza pensarvi. Però spessoquesti tali entrano in certe cosedelle quai non sapendo uscireVoglion poiaiutarsi col far ridere; e quello ancor fanno cosí disgraziatamente che nonriescetanto che inducono in grandissimo fastidio chi gli vede ed odeed essirestano freddissimi. Alcuna voltapensando per quello esser arguti e facetiinpresenzia d'onorate donne e spesso a quelle medesimesi mettono a dirsporchissime e disoneste parole; e quanto piú le veggono arrossire tanto piúsi tengon bon cortegianie tuttavia ridono e godono tra sé di cosí bellavirtúcome lor pare avere. Ma per niuna altra causa fanno tante pecoraginiche per esser estimati bon compagni; questo è quel nome solo che lor pare degnodi laude e del quale piú che di niun altro essi si vantano; e per acquistarlosi dicon le piú scorrette e vituperose villanie del mondo. Spesso s'urtano giúper le scalesi dàn de' legni e de' mattoni l'un l'altro nelle renimettonsipugni di polvere negli occhifannosi ruinare i cavalli addosso ne' fossi o giúdi qualche poggio; a tavola poiminestresaporigelatinetutte si dànno nelvoltoe poi ridono; e chi di queste cose sa far piúquello per megliorcortegiano e piú galante da se stesso s'apprezza e pargli aver guadagnato grangloria; e se talor invitano a cotai sue piacevolezze un gentilomoe che eglinon voglia usar questi scherzi selvatichisúbito dicono ch'egli si tien tropposavio e gran maestro e che non è bon compagno. Ma io vi vo' dir peggio. Sonoalcuni che contrastano e mettono il prezio a chi può mangiare e bere piústomacose e fetide cose; e trovanle tanto aborrenti dai sensi umanicheimpossibil è ricordarle senza grandissimo fastidio -.

XXXVII.

- E che cose possono esser queste? - disse il signor LudovicoPio. Rispose messer Federico: - Fatevele dire al marchese Febusche spesso l'havedute in Franciae forse gli è intravenuto -. Rispose il marchese Febus: - Ionon ho veduto far cosa in Francia di questeche non si faccia ancor in Italiama ben ciò che hanno di bon gli Italianinei vestimentinel festeggiarebanchettarearmeggiare ed in ogni altra cosa che a cortegian si convengatuttol'hanno dai Franzesi. - Non dico io- rispose messer Federico- che ancor tra'Franzesi non si trovino de' gentilissimi e modesti cavalieri; ed io per me n'hoconosciuti molti veramente degni d'ogni laude; ma pur alcuni se ne trovan pocoriguardati; eparlando generalmentea me par che con gli Italiani piú siconfaccian nei costumi i Spagnoli che i Franzesiperché quella gravitàriposata peculiar dei Spagnoli mi par molto piú conveniente a noi altri che lapronta vivacitàla qual nella nazion franzese quasi in ogni movimento siconosce; il che in essi non disdiceanzi ha graziaperché loro è cosínaturale e propriache non si vede in loro affettazione alcuna. Trovansi benmolti Italiani che vorriano pur sforzarsi de imitare quella manera; e non sannofar altro che crollar la testa parlandoe far riverenze in traverso di malagraziae quando passeggian per la terra caminar tanto forteche i staffierinon possano lor tener drieto; e con questi modi par loro esser bon Franzesiedaver di quella libertà; la qual cosa in vero rare volte riesceeccetto aquelli che son nutriti in Francia e da fanciulli hanno presa quella manera. Ilmedesimo intervien del saper diverse lingue; il che io laudo molto nelcortegianoe massimamente la spagnola e la franzeseperché il commerziodell'una e dell'altra nazion è molto frequente in Italia e con noi sono questedue piú conformi che alcuna dell'altre; e que' dui príncipiper esserpotentissimi nella guerra e splendidissimi nella pacesempre hanno la cortepiena di nobili cavalieriche per tutto 'l mondo si spargono; e a noi purbisogna conversar con loro.

XXXVIII.

Or io non voglio seguitar piú minutamente in dir cose tropponotecome che 'l nostro cortegian non debba far profession d'esser granmangiatorené bevitorené dissoluto in alcun mal costumené laido e malassettato nel viverecon certi modi da contadinoche chiamano la zappa el'aratro mille miglia di lontano; perché chi è di tal sortenon solamente nons'ha da sperar che divenga bon cortegianoma non se gli po dar esercizioconvenientealtro che di pascer le pecore. E per concluder dicoche bon sariache 'l cortegian sapesse perfettamente ciò che detto avemo convenirsiglidisorte che tutto 'l possibile a lui fosse facile ed ognuno di lui simaravigliasseesso di niuno; intendendo però che in questo non fosse una certadurezza superba ed inumanacome hanno alcuniche mostrano non maravigliarsidelle cose che fanno gli altriperché essi presumon poterle far molto meglioe col tacere le disprezzanocome indegne che di lor si parli; e quasi voglionfar segno che niuno altro sia non che lor parima pur capace d'intendere laprofundità del saper loro. Però deve il cortegian fuggir questi modi odiosi econ umanità e benivolenzia laudar ancor le bone opere degli altri; e benchéesso si senta ammirabile e di gran lunga superior a tuttimostrar però di nonestimarse per tale. Ma perché nella natura umana rarissime volte e forse mainon si trovano queste cosí compite perfezioninon dee l'omo che si sente inqualche parte manco diffidarse però di se stessoné perder la speranza digiungere a bon gradoavvenga che non possa conseguir quella perfetta e supremaeccellenzia dove egli aspira; perché in ogni arte son molti lochilaudevolioltr'al primo; e chi tende alla summitàrare volte interviene che non passi ilmezzo. Voglio adunque che 'l nostro cortegianose in qualche cosa oltr'all'armesi trovarà eccellentese ne vaglia e se ne onori di bon modo; e sia tantodiscreto e di bon giudicioche sappia tirar con destrezza e proposito lepersone a vedere ed udir quelloin che a lui par d'essere eccellentemostrandosempre farlo non per ostentazionema a casoe pregato d'altrui piú presto chedi voluntà sua; ed in ogni cosa che egli abbia da far o direse possibil èsempre venga premeditato e preparatomostrando però il tutto esserall'improviso. Ma le cose nelle quai si sente mediocretocchi per transitosenza fondarsici moltoma di modo che si possa credere che piú assai ne sappiadi ciò ch'egli mostra; come talor alcuni poeti che accennavan cose suttilissimedi filosofia o d'altre scienziee per avventura n'intendevan poco. Di quellopoi di che si conosce totalmente ignorante non voglio che mai faccia professionealcunané cerchi d'acquistarne fama; anzidove occorrechiaramente confessidi non saperne -.

XXXIX.

- Questo- disse il Calmeta- non arebbe fatto Nicolettoil qualessendo eccellentissimo filosofoné sapendo piú leggi che volarebenché un podestà di Padoa avesse deliberato dargli di quelle una letturanonvolse maia persuasion di molti scolaridesingannar quel podestà econfessargli di non sapernesempre dicendonon si accordar in questo con laopinione di Socratené esser cosa da filosofo il dir mai di non sapere. - Nondico io- rispose messer Federico- che 'l cortegian da se stessosenza chealtri lo ricerchivada a dire di non sapere; ché a me ancor non piace questasciocchezza d'accusar o disfavorir se medesimo; e però talor mi rido di certiominiche ancor senza necessità narrano volentieri alcune cosele qualibenché forse siano intervenute senza colpa loroportan però seco un'ombrad'infamia; come faceva un cavalier che tutti conosceteil qualsempre cheudiva far menzion del fatto d'arme che si fece in Parmegiana contra 'l re Carlosúbito cominciava a dir in che modo egli era fuggitoné parea che di quellagiornata altro avesse veduto o inteso; parlandosi poi d'una certa giostrafamosacontava pur sempre come egli era caduto; e spesso ancor parea che neiragionamenti andasse cercando di far venire a proposito il poter narrar che unanotteandando a parlar ad una donnaavea ricevuto di molte bastonate. Questesciocchezze non voglio io che dica il nostro cortegianoma parmi ben cheofferendosegli occasion di mostrarsi in cosa di che non sappia puntodebbafuggirla; e se pur la necessità lo stringeconfessar chiaramente di nonsapernepiú presto che mettersi a quel rischio; e cosí fuggirà un biasimoche oggidí meritano molti i qualinon so per qual loro perverso instinto ogiudicio fuor di ragionesempre si mettan a far quel che non sanno e lascianquel che sanno. E per confirmazion di questoio conosco uno eccellentissimomusicoil quallasciata la musicas'è dato totalmente a compor versi ecredesi in quello esser grandissimo omoe fa ridere ognun di sé e omai haperduta ancor la musica. Un altro de' primi pittori del mondo sprezza quell'artedove è rarissimo ed èssi posto ad imparar filosofianella quale ha cosistrani concetti e nove chimereche esso con tutta la sua pittura non sapriadepingerle. E di questi tali infiniti si trovano. Son bene alcunii qualiconoscendosi avere eccellenzia in una cosafanno principal professioned'un'altradella qual però non sono ignoranti; ma ogni volta che loro occorremostrarsi in quella dove si senton valeresi mostran gagliardamente; e vien lortalor fatto che la brigatavedendogli valer tanto in quello che non è suaprofessioneestima che vaglian molto piú in quello di che fan professione.Quest'artes'ella è compagnata da bon giudicionon mi dispiace punto -.

XL.

Rispose allor il signor Gaspar Pallavicino: - Questa a me nonpar artema vero inganno; né credo che si convengaa chi vol esser omo dabenemai lo ingannare. - Questo- disse messer Federico- è piú presto unornamentoil quale accompagna quella cosa che colui fache inganno; e se purè ingannonon è da biasimare. Non direte voi ancorache di dui che maneggianl'arme quel che batte il compagno lo inganna! e questo è perché ha piú arteche l'altro. E se voi avete una gioiala qual dislegata mostri esser bellavenendo poi alle mani d'un bon oreficeche col legarla bene la faccia parermolto piú bellanon direte voi che quello orefice inganna gli occhi di chi lavede! E pur di quello inganno merita laudeperché col bon giudicio e conl'arte le maestrevoli mani spesso aggiungon grazia ed ornamento allo avorio overo allo argentoo vero ad una bella pietra circondandola di fin oro. Nondiciamo adunque che l'arte o tal ingannose pur voi lo volete cosí chiamaremeriti biasimo alcuno. Non è ancor disconveniente che un omo che si sentavalere in una cosacerchi destramente occasion di mostrarsi in quellaemedesimamente nasconda le parti che gli paian poco laudevoliil tutto però conuna certa avvertita dissimulazione. Non vi ricorda comesenza mostrar dicercarleben pigliava l'occasioni il re Ferrando di spogliarsi talor ingiupponee questo perché si sentiva dispostissimo? e perché non avea troppobone manirare volte o quasi mai non si cavava i guanti? e pochi erano che diquesta sua avvertenza s'accorgessero. Parmi ancor aver letto che Iulio Cesareportasse volentieri la laurea per nascondere il calvizio. Ma circa questi modibisogna esser molto prudente e di bon giudicioper non uscire de' termini;perché molte volte l'omo per fuggir un errore incorre nell'altro e per voleracquistar laude acquista biasimo.

XLI.

È adunque securissima cosa nel modo del vivere e nelconversare governarsi sempre con una certa onesta mediocritàche nel vero ègrandissimo e fermissimo scudo contra la invidiala qual si dee fuggir quantopiú si po. Voglio ancor che 'l nostro cortegiano si guardi di non acquistarnome di bugiardoné di vano; il che talor interviene a quegli ancora che nolmeritano; però ne' suoi ragionamenti sia sempre avvertito di non uscir dellaverisimilitudine e di non dir ancor troppo spesso quelle verità che hannofaccia di menzognacome molti che non parlan mai se non di miracoli e voglionesser di tanta autoritàche ogni incredibil cosa a loro sia creduta. Altri nelprincipio d'una amiciziaper acquistar grazia col novo amicoil primo dí chegli parlano giurano non aver persona al mondo che piú amino che luie chevorrebben voluntier morir per fargli servizio e tai cose for di ragione; equando da lui si partonofanno le viste di piangere e di non poter dir parolaper dolore; cosíper volere esser tenuti troppo amorevolisi fanno estimarbugiardi e sciocchi adulatori. Ma troppo lungo e faticoso saria voler discorrertutti i vicii che possono occorrere nel modo del conversare; però per quelloch'io desidero nel cortegiano basti direoltre alle cose già detteche 'l siataleche mai non gli manchin ragionamenti boni e commodati a quelli co' qualiparlae sappia con una certa dolcezza recrear gli animi degli auditori e conmotti piacevoli e facezie discretamente indurgli a festa e risodi sorte chesenza venir mai a fastidio o pur a saziarecontinuamente diletti.

XLII.

Io penso che ormai la signora Emilia mi darà licenzia ditacere; la qual cosa s'ella mi negaràio per le parole mie medesime saròconvinto non esser quel bon cortegiano di cui ho parlato; ché non solamente iboni ragionamentii quali né mo né forsi mai da me avete uditima ancorquesti meicome voglia che si sianoin tutto mi mancono -. Allor disse ridendoil signor Prefetto: - Io non voglio che questa falsa opinion resti nell'animod'alcun di noiche voi non siate bonissimo cortegiano; ché certo il desideriovostro di tacere più presto procede dal voler fuggir faticache da mancarviragionamenti. Peròacciò che non paia che in compagnia cosí degnacome èquestae ragionamento tanto eccellentesi sia lassato a drieto parte alcunasiate contento d'insegnarci come abbiamo ad usar le facezie delle quali avete orfatta menzionee mostrarci l'arte che s'appartiene a tutta questa sorte diparlar piacevole per indurre riso e festa con gentil modoperché in vero a mepare che importi assai e molto si convenga al cortegiano. - Signor mio-rispose allor messer Federico- le facezie e i motti sono più presto dono egrazia di natura che d'arte; ma bene in questo si trovano alcune nazioni prontepiú l'una che l'altra come i Toscaniche in vero sono acutissimi. Pare ancorche ai Spagnoli sia assai proprio il motteggiare. Trovansi ben però moltie diqueste e d'ogni altra nazionei quali per troppo loquacità passan talor itermini e diventano insulsi ed inettiperché non han rispetto alla sorte dellepersono con le quai parlanoal loco ove si trovanoal tempoalla gravità edalla modestiache essi proprii mantenere devriano -.

XLIII.

Allor il signor Prefetto rispose: - Voi negate che nellefacezie sia arte alcuna; e purdicendo mal di que' che non servano in esse lamodestia e gravità e non hanno rispetto al tempo ed alle persone con le quaiparlanoparmi che dimostriate che ancor questo insegnar si possa ed abbia insé qualche disciplina. - Queste reguleSignor mio- rispose messer Federico- son tanto universaliche ad ogni cosa si confanno e giovano. Ma io ho dettonelle facezie non esser arteperché di due sorti solamente parmi che se netrovino: delle quai l'una s'estende nel ragionar lungo e continuato; come sivede di alcun'ominiche con tanto bona grazia e cosí piacevolmente narrano edesprimono una cosa che sia loro intervenutao veduta o udita l'abbianoche coigesti e con le parole la mettono inanzi agli occhi e quasi la fan toccar conmano; e questa forseper non ci aver altro vocabulosi poria chiamar"festività"o vero "urbanità". L'altra sorte di facezieè brevissima e consiste solamente nei detti pronti ed acuticome spesso tranoi se n'odonoe de' mordaci; né senza quel poco di puntura par che abbiangrazia; e questi presso gli antichi ancor si nominavano "detti";adesso alcuni le chiamano "arguzie". Dico adunque che nel primo modoche è quella festiva narrazionenon è bisogno arte alcuna perché la naturamedesima crea e forma gli omini atti a narrare piacevolmente; e dà loro ilvoltoi gestila voce e le parole appropriate ad imitar ciò che vogliono.Nell'altrodelle arguzieche po far l'arte? con ciò sia cosa che quel salsodetto dee esser uscito ed aver dato in broccaprima che paia che colui che lodice v'abbia potuto pensare; altramente è freddo e non ha del bono. Peròestimo che 'l tutto sia opera dell'ingegno e della natura -. Riprese allor leparole messer Pietro Bembo e disse: - Il signor Prefetto non vi nega quello chevoi ditecioè che la natura e lo ingegno non abbiano le prime partimassimamente circa la invenzione; ma certo è che nell'animo di ciascunosiapur l'omo di quanto bono ingegno po esserenascono dei concetti boni e maliepiú e meno; ma il giudicio poi e l'arte i lima e correggee fa elezione deiboni e rifiuta i mali. Peròlasciando quello che s'appartiene allo ingegnodechiarateci quello che consiste nell'arte; cioè delle facezie e dei motti cheinducono a riderequai son convenienti al cortegiano e quai noed in qualtempo e modo si debbano usare; ché questo è quello che 'l signor Prefettov'addimanda -.

XLIV.

Allor messer Federicopur ridendodisse: - Non è alcun quidi noi al qual io non ceda in ogni cosae massimamente nell'esser faceto;eccetto se forse le sciocchezzeche spesso fanno rider altrui piú che i beidettinon fossero esse ancora accettate per facezie -. E cosívoltandosi alconte Ludovico ed a messer Bernardo Bibienadisse: - Eccovi i maestri diquestodai qualis'io ho da parlare de' detti giocosibisogna che primaimpari ciò che m'abbia a dire -. Rispose il conte Ludovico: - A me pare chegià cominciate ad usar quello di che dite non saper nientecioè di voler farridere questi signoriburlando messer Bernardo e me; perché ognun di lor sache quello di che ci laudatein voi è molto piú eccellentemente. Però sesiete faticatomeglio è dimandar grazia alla signora Duchessache facciadifferire il resto del ragionamento a domaniche voler con inganni subterfuggerla fatica -. Cominciava messer Federico a risponderema la signora Emiliasúbito l'interruppe e disse: - Non è l'ordine che la disputa se ne vada inlaude vostra; basta che tutti siete molto ben conosciuti. Ma perché ancor miricordo che voiConteiersera mi deste imputazione ch'io non partivaegualmente le fatichesarà bene che messer Federico si riposi un poco; e 'lcarico del parlar delle facezie daremo a messer Bernardo Bibienaperché nonsolamente nel ragionar continuo lo conoscemo facetissimoma avemo a memoria chedi questa materia piú volte ci ha promesso voler scriveree però possiamcreder che già molto ben vi abbia pensato e per questo debba compiutamentesatisfarci. Poiparlato che si sia delle faceziemesser Federico seguirà inquello che dir gli avanza del cortegiano -. Allor messer Federico disse: -Signoranon so ciò che più mi avanzi; ma ioa guisa di viandante già stancodalla fatica del lungo caminare a mezzo giornoriposerommi nel ragionar dimesser Bernardo al suon delle sue parolecome sotto qualche amenissimo edombroso albero al mormorar suave d'un vivo fonte; poi forseun poco ristoratopotrò dir qualche altra cosa -. Rispose ridendo messer Bernardo: - S'io vimostro il capovederete che ombra si po aspettar dalle foglie del mio albero.Di sentire il mormorio di quel fonte vivo forse vi verrà fattoperch'io fuigià converso in un fontenon d'alcuno degli antichi dèima dal nostro fraMarianoe da indi in qua mai non m'è mancata l'acqua -Allor ognun cominciòa ridereperché questa piacevolezzadi che messer Bernardo intendevaessendointervenuta in Roma alla presenzia di Galeotto cardinale di San Pietro adVinculaa tutti era notissima.

XLV.

Cessato il risodisse la signora Emilia: - Lasciate voiadesso il farci ridere con l'operar le facezie ed a noi insegnate come l'abbiamoad usare e donde si cavinoe tutto quello che sopra questa materia voiconoscete. E per non perder piú tempo cominciate omai. - Dubito- disse messerBernardo- che l'ora sia tarda; ed acciò che 'l mio parlar di facezie non siainfaceto e fastidiosoforse bon sarà differirlo insino a dimani -. Quivisúbito risposero molti non essere ancorné a gran pezzal'ora consueta didar fine al ragionare. Allora rivoltandosi messer Bernardo alla signora Duchessaed alla signora Emilia- Io non voglio fuggir- disse- questa fatica;bench'iocome soglio maravigliarmi dell'audacia di color che osano cantar allaviola in presenzia del nostro Iacomo Sansecondocosí non devrei in presenziad'auditori che molto meglio intendon quello che io ho a dire che io stessoragionar delle facezie. Purper non dar causa ad alcuno di questi signori diricusar cosa che imposta loro siadirò quanto piú brevemente mi saràpossibile ciò che mi occorre circa le cose che movono il riso; il qual tanto anoi è proprioche per descriver l'omo si suol dire che egli è un animalrisibile; perché questo riso solamente negli omini si vede ed è quasi sempretestimonio d'una certa ilarità che dentro si sente nell'animoil qual danatura è tirato al piacere ed appetisce il riposo e 'l recrearsi; onde veggiamomolte cose dagli omini ritrovate per questo effettocome le feste e tante variesorti di spettaculi. E perché noi amiamo que' che son causa di tal nostrarecreazioneusavano i re antichii Romanigli Ateniesi e molt'altriperacquistar la benivolenzia dei populi e pascer gli occhi e gli animi dellamoltitudinefar magni teatri ed altri publici edifizi; ed ivi mostrar novigiochicorsi di cavalli e di carrettecombattimentistrani animalicomedietragedie e moresche; né da tal vista erano alieni i severi filosofiche spessoe coi spettaculi di tal sorte e conviti rilassavano gli animi affaticati inquegli alti lor discorsi e divini pensieri; la qual cosa volentier fanno ancortutte le qualità d'omini; ché non solamente i lavoratori de' campii marinarie tutti quelli che hanno duri ed asperi esercizi alle manima i santireligiosii prigionieri che d'ora in ora aspettano la mortepur vanno cercandoqualche rimedio e medicina per recrearsi. Tutto quello adunque che move il risoesilara l'animo e dà piacerené lascia che in quel punto l'omo si ricordidelle noiose molestiedelle quali la vita nostra è piena. Però a tutticomevedeteil riso è gratissimoed è molto da laudare chi lo move a tempo e dibon modo. Ma che cosa sia questo risoe dove stiaed in che modo talor occupile venegli occhila bocca e i fianchiche par che ci voglia far scoppiaretanto cheper forza che vi mettiamonon è possibile tenerlolasciaròdisputare a Democrito; il qualese forse ancora lo promettessenon lo saprebbedire.

XLVI.

Il loco adunque e quasi il fonte onde nascono i ridiculiconsiste in una certa deformità; perché solamente si ride di quelle cose chehanno in sé disconvenienza e par che stian malesenza però star male. Io nonso altrimenti dichiarirlo; ma se voi da voi stessi pensatevederete che quasisempre quel di che si ride è una cosa che non si convienee pur non sta male.Quali adunque siano quei modi che debba usar il cortegiano per mover il riso efin a che terminesforzerommi di dirviper quanto mi mostrerà il miogiudicio; perché il far rider sempre non si convien al cortegianoné ancor diquel modo che fanno i pazzi e gli imbriachi e i sciocchi ed inettiemedesimamente i buffoni; e benché nelle corti queste sorti d'omini par che sirichiegganopur non meritano esser chiamati cortegianima ciascun per lo nomesuo ed estimati tali quai sono. Il termine e misura del far ridere mordendobisogna ancor esser diligentemente consideratoe chi sia quello che si morde;perché non s'induce riso col dileggiar un misero e calamitosoné ancora unribaldo e scelerato publicoperché questi par che meritino maggior castigo chel'esser burlati; e gli animi umani non sono inclinati a beffare i miserieccetto se quei tali nella sua infelicità non si vantassero e fossero superbi eprosuntuosi. Deesi ancora aver rispetto a quei che sono universalmente grati edamati da ognuno e potentiperché talor col dileggiar questi poria l'uomacquistarsi inimicizie pericolose. Però conveniente cosa è beffare e ridersidei vizi collocati in persone né misere tanto che movano compassionené tantoscelerate che paia che meritino esser condennate a pena capitalené tantograndi che un loro piccol sdegno possa far gran danno.

XLVII.

Avete ancor a sapere che dai lochi donde si cavano motti darideresi posson medesimamente cavare sentenzie gravi per laudare e perbiasimaree talor con le medesime parole; comeper laudar un om liberalechemetta la robba sua in commune con gli amicisuolsi dire che ciò ch'egli ha nonè suo; il medesimo si po dir per biasimo d'uno che abbia rubatoo per altremale arti acquistato quel che tiene. Dicesi ancor: "Colei è una donnad'assai"volendola laudar di prudenzia e bontà; il medesimo poria dir chivolesse biasimarlaaccennando che fosse donna di molti. Ma piú spesso occorreservirsi dei medesimi lochi a questo propositoche delle medesime parole; comea questi dístando a messa in una chiesa tre cavalieri ed una signoraallaquale serviva d'amore uno dei trecomparve un povero mendicoe postosi avantialla signoracominciolle a dimandare elemosina; e cosí con molta importunitàe voce lamentevole gemendo replicò piú volte la sua domanda: purcon tuttoquesto essa non gli diede mai elimosinané ancor gliela negò con fargli segnoche s'andasse con Dioma stette sempre sopra di sécome se pensasse in altro.Disse allor il cavalier inamorato ai dui compagni: "Vedete ciò ch'io possosperare dalla mia signorache è tanto crudeleche non solamente non dàelemosina a quel poveretto ignudo morto di fameche con tanta passion e tantevolte a lei la domandama non gli dà pur licenzia; tanto gode di vedersiinanzi una persona che languisca in miseria e in van le domandi mercede".Rispose un dei dui: "Questa non è crudeltàma un tacito ammaestramentodi questa signora a voiper farvi conoscere che essa non compiace mai a chi ledimanda con molta importunità". Rispose l'altro: "Anzi è unavvertirlo cheancor ch'ella non dia quello che se gli domandapur le piaced'esserne pregata". Eccovidal non aver quella signora dato licenzia alpoveronacque un detto di severo biasmouno di modesta laude ed un altro digioco mordace.

XLVIII.

Tornando adunque a dechiarir le sorti delle facezieappartenenti al proposito nostrodico chesecondo medi tre maniere se netrovanoavvenga che messer Federico solamente di due abbia fatto menzione;cioè di quella urbana e piacevole narrazion continuatache consistenell'effetto d'una cosa; e della súbita ed arguta prontezzache consiste in undetto solo. Però noi ve ne giungeremo la terza sorteche chiamano"burle"; nelle quali intervengon le narrazioni lunghe e i detti brevied ancor qualche operazione. Quelle prime adunqueche consistono nel parlarcontinuatoson di manera talequasi che l'omo racconti una novella. E perdarvi uno esempio: "In quei proprii giorni che morí papa Alessandro Sestoe fu creato Pio Terzoessendo in Roma e nel Palazzo messer Antonio Agnellovostro mantuanosignora Duchessae ragionando a punto della morte dell'uno ecreazion dell'altroe di ciò facendo varii giudici con certi suoi amicidisse: "Signorifin al tempo di Catullo cominciarono le porte a parlaresenza lingua ed udir senza orecchie ed in tal modo scoprir gli adultèri; orase ben gli omini non sono di tanto valor com'erano in que' tempiforse che leportedelle quai moltealmen qui in Romasi fanno de' marmi antichihanno lamedesima virtú che aveano allora; ed io per me credo che queste due ci saprianchiarir tutti i nostri dubbise noi da loro i volessimo sapere". Allorquei gentilomini stettero assai sospesi ed aspettavano dove la cosa avesse ariuscire; quando messer Antonioseguitando pur l'andar inanzi e 'ndietroalzògli occhicome all'improvisoad una delle due porte della sala nella qualpasseggiavanoe fermatosi un poco mostrò col dito a' compagni la inscrizion diquellache era il nome di papa Alessandronel fin del quale era un V ed un Iperché significassecome sapeteSesto; e disse: "Eccovi che questa portadice: ALEXANDER PAPA VIche vol significareche è stato papa per la forza cheegli ha usata e piú di quella si è valuto che della ragione. Or veggiamo se daquest'altra potemo intender qualche cosa del novo pontefice"; e voltatosicome per venturaa quell'altra portamostrò la inscrizione d'un Ndui PP edun Vche significava NICOLAUS PAPA QUINTUSe súbito disse: "Oimèmalenove; eccovi che questa dice: Nihil Papa Valet "".

XLIX.

Or vedete come questa sorte di facezie ha dello elegante edel bonocome si conviene ad uom di corteo vero o finto che sia quello che sinarra; perché in tal caso è licito fingere quanto all'uom piacesenza colpa;e dicendo la veritàadornarla con qualche bugiettacrescendo o diminuendosecondo 'l bisogno. Ma la grazia perfetta e vera virtú di questo è ildimostrar tanto bene e senza faticacosí coi gesti come con le parolequelloche l'omo vole esprimereche a quelli che odono paia vedersi innanzi agli occhifar le cose che si narrano. E tanta forza ha questo modo cosí espressochetalor adorna e fa piacer sommamente una cosache in se stessa non sarà moltofaceta né ingeniosa. E benché a queste narrazioni si ricerchino i gesti equella efficacia che ha la voce vivapur ancor in scritto qualche volta siconosce la lor virtú. Chi non ride quando nella ottava giornata delle sue Centonovelle narra Giovan Boccaccio come ben si sforzava di cantare un Chirieed un Sanctus il prete di Varlungo quando sentía la Belcolore in chiesa?Piacevoli narrazioni sono ancora in quelle di Calandrino ed in molte altre.Della medesima sorte pare che sia il far ridere contrafacendo o imitandocomenoi vogliam dire; nella qual cosa fin qui non ho veduto alcuno piú eccellentedi messer Roberto nostro da Bari -.

L.

- Questa non saria poca laude- disse messer Robertosefosse veraperch'io certo m'ingegnerei d'imitare piú presto il ben che 'lmalee s'io potessi assimigliarmi ad alcuni ch'io conoscomi terrei per moltofelice; ma dubito non saper imitare altro che le cose che fanno riderele qualivoi dianzi avete detto che consistono in vicio -. Rispose messer Bernardo: - Invicio síma che non sta male. E saper dovete che questa imitazione di che noiparliamo non po essere senza ingegno; perchéoltre alla manera d'accommodar leparole e i gestie mettere innanzi agli occhi degli auditori il volto e icostumi di colui di cui si parlabisogna esser prudente ed aver molto rispettoal locoal tempo ed alle persone con le quai si parla e non descendere allabuffoneriané uscire de' termini; le quai cose voi mirabilmente osservateeperò estimo che tutte le conosciate. Ché in vero ad un gentilomo non siconverria fare i voltipiangere e riderefar le vocilottare da sé a sécome fa Bertovestirsi da contadino in presenzia d'ognunocome Strascino; etai coseche in essi son convenientissimeper esser quella la lor professione.Ma a noi bisogna per transito e nascostamente rubar questa imitazioneservandosempre la dignità del gentilomosenza dir parole sporche o far atti men cheonestisenza distorgersi il viso o la persona cosí senza ritegno; ma far imovimenti d'un certo modoche chi ode e vede per le parole e gesti nostriimagini molto piú di quello che vede ed odee perciò s'induca a ridere. Deesiancor fuggir in questa imitazione d'esser troppo mordace nel riprenderemassimamente le deformità del volto o della persona; ché sí come i vicii delcorpo dànno spesso bella materia di ridere a chi discretamente se ne valecosí l'usar questo modo troppo acerbamente è cosa non sol da buffonema ancorda inimico. Però bisognabenché difficil siacirca questo tenercome hodettola manera del nostro messer Robertoche ognun contrafàe non senzapungerl'in quelle cose dove hanno diffettied in presenzia d'essi medesimi; epur niuno se ne turba né par che possa averlo per male; e di questo non nedarò esempio alcunoperché ogni dí in esso tutti ne vedemo infiniti.

LI.

Induce ancor molto a ridereche pur si contiene sotto lanarrazioneil recitar con bona grazia alcuni diffetti d'altrimediocri però enon degni di maggior suppliciocome le sciocchezze talor simplicitaloraccompagnate da un poco di pazzia pronta e mordace; medesimamente certeaffettazioni estreme; talor una grande e ben composta bugia. Come narrò pochidí sono messer Cesare nostro una bella sciocchezzache fuche ritrovandosialla presenzia del podestà di questa terravide venire un contadino a dolersiche gli era stato rubato un asino; il qualpoi che ebbe detto della povertàsua e dell'inganno fattogli da quel ladroper far piú grave la perdita suadisse: "Messerese voi aveste veduto il mio asinoancor piú conoscerestequanto io ho ragion di dolermi; ché quando aveva il suo basto addossopareapropriamente un Tullio". Ed un de' nostriincontrandosi in una mattà dicapreinnanzi alle quali era un gran beccosi fermò e con un voltomaraviglioso disse: "Guardate bel becco! pare un san Paulo". Un altrodice il signor Gasparo aver conosciutoil qualper essere antico servitore delduca Ercole di Ferraragli avea offerto dui suoi piccoli figlioli per paggi; equestiprima che potessero venirlo a servireerano tutti dui morti; la qualcosa intendendo il signoreamorevolmente si dolse col padredicendo che glipesava molto perché in avergli veduti una sol volta gli eran parsi molto bellie discreti figlioli. E padre gli rispose: "Signor miovoi non avete vedutonulla; ché da pochi giorni in qua erano riusciti molto piú belli e virtuosich'io non arei mai potuto credere e già cantavano insieme come duisparvieri". E stando a questi dí un dottor de' nostri a vedere unocheper giustizia era frustato intorno alla piazzaed avendone compassioneperché'l meschinobenché le spalle fieramente gli sanguinasseroandava cosílentamente come se avesse passeggiato a piacere per passar tempogli disse:"Caminapoverettoed esci presto di questo affanno". Allor il bonomo rivoltoguardandolo quasi con maravigliastette un poco senza parlarepoidisse: "Quando sarai frustato tuanderai a modo tuo; ch'io adesso voglioandar al mio". Dovete ancora ricordarvi quella sciocchezzache poco faraccontò il signor Duca di quell'abbate; il qualeessendo presente un dí che'l duca Federico ragionava di ciò che si dovesse far di cosí gran quantità diterrenocome s'era cavata per far i fondamenti di questo palazzoche tuttaviasi lavoravadisse: "Signor mioio ho pensato benissimo dove e' s'abbia amettere. Ordinate che si faccia una grandissima fossa e quivi reponere sipotràsenza altro impedimento". Rispose il duca Federiconon senza risa:"E dove metteremo noi quel terreno che si caverà di questa fossa?"Suggiunse l'abbate: "Fatela far tanto grandeche l'uno e l'altro vistia". Cosíbenché il Duca piú volte replicasseche quanto la fossa sifacea maggioretanto piú terren si cavavamai non gli poté caper nelcervello ch'ella non si potesse far tanto grandeche l'uno e l'altro metter nonvi si potessené mai rispose altro se non: "Fatela tanto maggiore".Or vedete che bona estimativa avea questo abbate -.

LII.

Disse allora messer Pietro Bembo: - E perché non dite voiquella del vostro commissario fiorentino? il quale era assediato nellaCastellina dal duca di Calavriae dentro essendosi trovato un giorno certipassatori avvelenatiche erano stati tirati dal camposcrisse al Duca chesela guerra s'aveva da far cosí crudeleesso ancor farebbe porre il medicame insu le pallotte dell'artiglieria e poi chi n'avesse il peggiosuo danno -. Risemesser Bernardo e disse: - Messer Pietrose voi non state chetoio dirò tuttequelle che io stesso ho vedute e udite de' vostri Veneziani che non son pocheemassimamente quando voglion fare il cavalcatore. - Non ditedi grazia-rispose messer Pietro- che io ne tacerò due altre bellissime che so de'Fiorentini -. Disse messer Bernardo: - Deono esser piú presto Sanesichespesso vi cadeno. Come a questi dí unosentendo leggere in consiglio certeletterenelle qualiper non dir tante volte il nome di colui di chi siparlavaera replicato questo termine "il prelibato"disse a coluiche leggeva: "Fermatevi un poco quie ditemi: cotesto Prelibatoè egliamico del nostro commune?" - Rise messer Pietropoi disse: - Io parlo de'Fiorentini e non de' Sanesi. - Dite adunque liberamente- suggiunse la signoraEmilia- e non abbiate tanti rispetti -. Seguitò messer Pietro: - Quando isignori Fiorentini faceano la guerra contra' Pisanitrovaronsi talor per lemolte spese esausti di denari; e parlandosi un giorno in consiglio del modo ditrovarne per i bisogni che occorreanodopo l'essersi proposto molti partitidisse un cittadino de' piú antichi: "Io ho pensato dui modiper li qualisenza molto impazzo presto potrem trovar bona somma di denari; e di questi l'unoè che noiperché non avemo le piú vive intrate che le gabelle delle porte diFirenzesecondo che v'abbiam undeci portesúbito ve ne facciam far undecialtree cosí radoppiaremo quella entrata. L'altro modo èche si dia ordineche súbito in Pistoia e Prato s'aprino le zecchené piú né meno come inFirenzee quivi non si faccia altrogiorno e notteche batter denari e tuttisiano ducati d'oro; e questo partitosecondo meè piú breve e ancor de minorspesa" -.

LIII.

Risesi molto del sottil avvedimento di questo cittadino; eracchetato il risodisse la signora Emilia: - Comportarete voimesserBernardoche messer Pietro burli cosí i Fiorentini senza farne vendetta? -Risposepur ridendomesser Bernardo: Io gli perdono questa ingiuriaperchés'egli m'ha fatto dispiacere in burlar i Fiorentinihammi compiacciuto inobedir voiil che io ancor farei sempre -. Disse allor messer Cesare: Bellagrosseria udi' dir io da un brescianoil qualeessendo stato quest'anno aVenezia alla festa dell'Ascensionein presenza mia narrava a certi suoicompagni le belle cose che v'avea vedute; e quante mercanzie e quanti argentispeziariepanni e drappi v'erano; poi la Signoria con gran pompa esser uscita asposar il mare in Bucentorosopra il quale erano tanti gentilomini ben vestititanti suoni e cantiche parea un paradiso; e dimandandogli un di que' suoicompagniche sorte di musica piú gli era piaciuta di quelle che avea uditedisse: "Tutte eran bone; pur tra l'altre io vidi uno sonar con certa trombastranache ad ogni tratto se ne ficcava in gola piú di dui palmi e poi súbitola cavava e di novo la reficcava; che non vedeste mai la piú granmaraviglia" -. Risero allora tutticonoscendo il pazzo pensier di coluiche s'avea imaginato che quel sonatore si ficcasse nella gola quella parte deltromboneche rientrando si nasconde.

LIV.

Suggiunse allor messer Bernardo: - Le affettazioni poimediocri fanno fastidioma quando son fuor di misura inducono da ridere assai;come talor se ne sentono di bocca d'alcuni circa la grandezzacirca l'esservalentecirca la nobilità; talor di donne circa la bellezzacirca ladelicatura. Come a questi giorni fece una gentildonnala qual stando in unagran festa di mala voglia e sopra di séle fu domandato a che pensava che starla facesse cosí mal contenta; ed essa rispose: "Io pensava ad una cosache sempre che mi si ricorda mi dà grandissima noiané levar me la posso delcore; e questo èche avendo il dí del giudicio universale tutti i corpi aresuscitare e comparir ignudi innanzi al tribunal di Cristoio non possotollerar l'affanno che sentopensando che il mio ancor abbia ad esser vedutoignudo". Queste tali affettazioniperché passano il gradoinducono piúriso che fastidio. Quelle belle bugie mocosí ben assettatecome movano arideretutti sapete. E quell'amico nostroche non ce ne lassa mancareaquesti dí me ne raccontò una molto eccellente -.

LV.

Disse allora il Magnifico Iuliano: - Sia come si volenépiú eccellente né piú sottile non po ella esser di quella che l'altro giornoper cosa certissima affermava un nostro toscanomercatante luchese. - Ditela-suggiunse la signora Duchessa -. Rispose il Magnifico Iulianoridendo: - Questomercatantesí come egli diceritrovandosi una volta in Polonia deliberò dicomprare una quantità di zibellinicon opinion di portargli in Italia e farneun gran guadagno; e dopo molte pratichenon potendo egli stesso in personaandar in Moscovia per la guerra che era tra 'l re di Polonia e 'l duca diMoscoviaper mezzo d'alcuni del paese ordinò che un giorno determinato certimercatanti moscoviti coi lor zibellini venissero ai confini di Polonia e promiseesso ancor di trovarvisiper praticar la cosa. Andando adunque il luchese coisuoi compagni verso Moscoviagiunse al Boristeneil quale trovò tutto duro dighiaccio come un marmoe vide che i Moscovitili quali per lo suspetto dellaguerra dubitavano essi ancor de' Polonierano già sull'altra rivama nons'accostavanose non quanto era largo il fiume. Cosí conosciutisi l'un l'altrodopo alcuni cennili Moscoviti cominciarono a parlar alto e domandare il prezzoche volevano de' loro zibellinima tanto era estremo il freddoche non eranointesi; perché le paroleprima che giungessero all'altra rivadove era questoluchese e i suoi interpretisi gelavano in aria e vi restavano ghiacciate eprese di modoche quei Poloni che sapeano il costumepresero per partito difar un gran foco proprio al mezzo del fiumeperché a lor parere quello era iltermine dove giungeva la voce ancor calda prima che ella fosse dal ghiacciointercetta; ed ancora il fiume era tanto sodoche ben poteva sostenere il foco.Ondefatto questole paroleche per spacio d'un'ora erano state ghiacciatecominciarono a liquefarsi e descender giú mormorandocome la neve dai monti ilmaggio; e cosí súbito furono intese benissimobenché già gli omini di làfossero partiti; ma perché a lui parve che quelle parole dimandassero troppogran prezzo per i zibellininon volle accettar il mercato e cosí se neritornò senza -.

LVI.

Risero allora tutti; e messer Bernardo- In vero- dissequella ch'io voglio raccontarvi non è tanto sottile; pur è bellaed èquesta. Parlandosi pochi dí sono del paese o mondo novamente trovato daimarinari portoghesie dei varii animali e d'altre cose che essi di colà inPortogallo riportanoquello amico del qual v'ho detto affermò aver veduto unasimia di forma diversissima da quelle che noi siamo usati di vederela qualegiocava a scacchi eccellentissimamente; etra l'altre volteun dí essendoinnanzi al re di Portogallo il gentilom che portata l'avea e giocando con lei ascacchila simia fece alcuni tratti sottilissimidi sorte che lo strinsemolto; in ultimo gli diede scaccomatto; per che il gentilomo turbatocomesoglion esser tutti quelli che perdono a quel giocoprese in mano il recheera assai grandecome usano i Portoghesie diede in su la testa alla simia unagran scaccata; la qual súbito saltò da bandalamentandosi fortee parea chedomandasse ragione al Re del torto che le era fatto. Il gentilomo poi lareinvitò a giocare; essa avendo alquanto ricusato con cennipur si pose agiocar di novo ecome l'altra volta avea fattocosí questa ancora lo ridussea mal termine; in ultimovedendo la simia poter dar scaccomatto al gentilomcon una nova malizia volse assicurarsi di non esser piú battuta; e chetamentesenza mostrar che fosse suo fattopose la man destra sotto 'l cubito sinistrodel gentilomoil quale esso per delicatura riposava sopra un guancialetto ditaffetàe prestamente levatoglieloin un medesimo tempo con la man sinistragliel diede matto di pedina e con la destra si pose il guancialetto in capoperfarsi scudo alle percosse; poi fece un salto inanti al Re allegramentequasiper testimonio della vittoria sua. Or vedete se questa simia era saviaavvedutae prudente -. Allora messer Cesare Gonzaga- Questa è forza- disse- chetra l'altre simie fosse dottoree di molta autorità; e penso che la Republicadelle simie indiane la mandasse in Portogallo per acquistar riputazione in paeseincognito -. Allora ognun rise e della bugia e della aggiunta fattagli permesser Cesare.

LVII.

Cosíseguitando il ragionamentodisse messer Bernardo: -Avete adunque inteso delle facezie che sono nell'effetto e parlar continuatociò che m'occorre; perciò ora è ben dire di quelle che consistono in un dettosolo ed hanno quella pronta acutezza posta brevemente nella sentenzia o nellaparola; e sí come in quella prima sorte di parlar festivo s'ha da fuggirnarrando ed imitandodi rassimigliarsi ai buffoni e parassiti ed a quelli cheinducono altrui a ridere per le lor sciocchezze; cosí in questo breve devesiguardare il cortegiano di non parer maligno e velenosoe dir motti ed arguziesolamente per far dispetto e dar nel core; perché tali omini spesso perdiffetto della lingua meritamente hanno castigo in tutto 'l corpo.

LVIII.

Delle facezie adunque pronteche stanno in un breve dettoquelle sono acutissimeche nascono dalla ambiguitàbenché non sempreinducano a ridereperché piú presto sono laudate per ingeniose che perridicule: come pochi dí sono disse il nostro messer Annibal Paleotto ad uno chegli proponea un maestro per insegnar grammatica a' suoi figliolie poi chegliel'ebbe laudato per molto dottovenendo al salario disse che oltre ai denarivolea una camera fornita per abitare e dormireperché esso non avea letto:allor messer Annibal súbito rispose: "E come po egli esser dottose nonha letto?" Eccovi come ben si valse del vario significato di quello"non aver letto". Ma perché questi motti ambigui hanno moltodell'acutoper pigliar l'omo le parole in significato diverso da quello che lepigliano tutti gli altriparecome ho dettoche piú presto movano maravigliache risoeccetto quando sono congiunti con altra manera di detti. Quella sorteadunque di motti che piú s'usa per far ridere è quando noi aspettiamo d'udiruna cosae colui che risponde ne dice un'altra e chiamasi "fuord'opinione". E se a questo è congiunto lo ambiguoil motto diventasalsissimo; come l'altr'ieridisputandosi di fare un bel "mattonato"nel camerino della signora Duchessadopo molte parole voiIoan Cristoforodiceste: "Se noi potessimo avere il vescovo di Potenzia e farlo benspianaresaria molto a propositoperché egli è il piú bel "mattonato" ch'io vedessi mai". Ognun rise moltoperché dividendo quellaparola "mattonato" faceste lo ambiguo; poi dicendo che si avesse aspianare un vescovo e metterlo per pavimento d'un camerinofu for di opinionedi chi ascoltava; cosí riuscí il motto argutissimo e risibile.

LIX.

Ma dei motti ambigui sono molte sorti; però bisogna essereavvertito ed uccellar sottilissimamente alle parolee fuggir quelle che fannoil motto freddoo che paia che siano tirate per i capellio verosecondo cheavemo dettoche abbian troppo dello acerbo. Come ritrovandosi alcuni compagniin casa d'un loro amicoil quale era cieco da un occhioe invitando quel ciecola compagnia a restar quivi a desinaretutti si partirono eccetto uno; il qualdisse: "Ed io vi restaròperché veggo esserci vuoto il loco peruno"; e cosí col dito mostrò quella cassa d'occhio vuota. Vedete chequesto è acerbo e discortese troppoperché morse colui senza causa e senzaesser stato esso prima puntoe disse quello che dir si poria contra tutti iciechi; e tai cose universali non dilettanoperché pare che possano esserepensate. E di questa sorte fu quel detto ad un senza naso: "E dove appicchitu gli occhiali?" o: "Con che fiuti tu l'anno le rose?"

LX.

Ma tra gli altri mottiquegli hanno bonissima graziachenascono quando dal ragionar mordace del compagno l'omo piglia le medesime parolenel medesimo senso e contra di lui le rivolgepungendolo con le sue propriearme; come un litigantea cui in presenzia del giudice dal suo avversario fudetto: "Che bai tu?"súbito rispose: "Perché veggo unladro". E di questa sorte fu ancorquando Galeotto da Narnipassando perSienasi fermò in una strada a domandar dell'osteria; vedendolo un Sanesecosí corpulento come eradisse ridendo: "Gli altri portano le bolgedietroe costui le porta davanti". Galeotto súbito rispose: "Cosísi fa in terra de' ladri".

LXI.

Un'altra sorte è ancorche chiamiamo "bischizzi";e questa consiste nel mutare o vero accrescere o minuire una lettera o sillabacome colui che disse: "Tu dèi esser piú dotto nella lingua"latrina"che nella greca". Ed a voiSignorafu scritto neltitulo d'una lettera: "Alla signora Emilia impia". È ancora facetacosa interporre un verso o piúpigliandolo in altro proposito che quello chelo piglia l'autoreo qualche altro detto vulgato; talor al medesimo propositoma mutando qualche parola; come disse un gentilomo che avea una brutta edespiacevole moglieessendogli domandato come stavarispose: "Pensalo tuché Furiarum maxima iuxta me cubat". E messer Ieronimo Donatoandando alle Stazioni di Roma la Quadragesima insieme con molti altrigentilominis'incontrò in una brigata di belle donne romanee dicendo uno diquei gentilomini:

Quot coelum stellastot habet tua Roma puellas;

súbito suggiunse:

Pascua quotque haedostot habet tua Roma cinaedos

mostrando una compagnia di giovaniche dall'altra bandavenivano. Disse ancora messer Marc'Antonio dalla Torre al vescovo di Padoa diquesto modo: "Essendo un monasterio di donne in Padoa sotto la cura d'unreligioso estimato molto di bona vita e dottointervenne che 'l padrepraticando nel monasterio domesticamente e confessando spesso le madricinqued'esseche altrettante non ve n'eranoingravidarono; e scoperta la cosailpadre volse fuggire e non seppe; il vescovo lo fece pigliare ed esso súbitoconfessòper tentazion del diavolo aver ingravidate quelle cinque monache; dimodo che monsignor il vescovo era deliberatissimo castigarlo acerbamente. Eperché costui era dottoavea molti amicii quali tutti fecer provad'aiutarloe con gli altri ancor andò messer Marc'Antonio al vescovo perimpetragli qualche perdono. Il vescovo per modo alcuno non gli volea udire; alfine facendo pur essi instanziae raccommandando il reo ed escusandolo per lacommodità del locoper la fragilità umana e per molte altre causedisse ilvescovo: "Io non ne voglio far nienteperché di questo ho io a renderragione a Dio"; e replicando essidisse il vescovo: "Che responderòio a Dioil dí del giudicio quando mi dirà: Redde rationem villicationistuae? - rispose allor súbito messer Marc'Antonio: "Monsignor mioquello che dice lo Evangelio: Dominequinque talenta tradidisti mihi; eccealia quinque superlucratus sum. Allora il vescovo non si poté tenere dirideree mitigò assai l'ira sua e la pena preparata al malfattore".

LXII.

È medesimamente bello interpretare i nomi e finger qualchecosaperché colui di chi si parla si chiami cosío vero perché una qualchecosa si faccia; come pochi dí sono domandando il Proto da Lucail qualcomesapeteè molto piacevoleil vescovato di Caglioil Papa gli rispose:"Non sai tu che "caglio" in lingua spagnola vol dire"taccio"? e tu sei un cianciatore; però non si converria ad unvescovo non poter mai nominare il suo titulo senza dir bugia; or"caglia" adunque". Quivi diede il Proto una rispostala qualeancor che non fosse di questa sortenon fu però men bella della proposta; chéavendo replicato la domanda sua piú volte e vedendo che non giovavain ultimodisse: "Padre Santose la Santità vostra mi dà questo vescovatononsarà senza sua utilitàperch'io le lassarò dui officii". "E cheoffici hai tu da lassare?"disse il Papa. Rispose il Proto: "Iolasserò l'officio grande e quello della Madonna". Allora non poté ilPapaancor che fosse severissimotenersi di ridere. Un altro ancor a Padoadisse che Calfurnio si dimandava cosíperché solea scaldare i forni. Edomandando io un giorno a Fedra perché erache facendo la Chiesa il Venersanto orazioni non solamente per i cristianima ancor per i pagani e per igiudeinon si facea menzione dei cardinalicome dei vescovi e d'altri prelatirisposemi che i cardinali s'intendevano in quella orazione che dice: Oremuspro haereticis et scismaticis. E 'l conte Ludovico nostro disse che ioriprendeva una signora che usava un certo liscio che molto luceaperché inquel voltoquando era acconciocosí vedeva me stesso come nello specchio; eperòper esser bruttonon arei voluto vedermi. Di questo modo fu quello dimesser Camillo Palleotto a messer Antonio Porcaroil qual parlando d'un suocompagnoche confessandosi diceva al sacerdote che digiunava volentieri edandava alle messe ed agli offici divini e facea tutti i beni del mondodisse:"Costui in loco d'accusarsi si lauda"; a cui rispose messer Camillo:"Anzi si confessa di queste coseperché pensa che il farle sia granpeccato". Non vi ricorda come ben disse l'altro giorno il signor Prefettoquando Giovantomaso Galeotto si maravigliava d'un che domandava ducento ducatid'un cavallo? perchédicendo Giovantomaso che non valeva un quattrino e chetra gli altri diffettifuggiva dall'arme tantoche non era possibile farglieloaccostaredisse il signor Prefettovolendo riprendere colui di viltà:"Se 'l cavallo ha questa parte di fuggir dall'armemaravegliomi che eglinon ne domandi mille ducati".

LXIII.

Dicesi ancora qualche volta una parola medesimama ad altrofin di quello che s'usa. Come essendo il signor Duca per passar un fiumerapidissimo e dicendo ad un trombetta: "Passa"il trombetta si voltòcon la berretta in mano e con atto di reverenzia disse: "Passi la Signoriavostra". È ancor piacevol manera di motteggiarequando l'omo par chepigli le parole e non la sentenzia di colui che ragiona; come quest'anno unTedesco a Romaincontrando una sera il nostro messer Filippo Beroaldodel qualera discipulodisse: "Domine magisterDeus det vobis bonum sero";e 'l Beroaldo súbito rispose: "Tibi malum cito". Essendo ancora tavola col Gran Capitano Diego de Chignonesdisse un altro Spagnoloche purvi mangiavaper domandar da bere: "Vino"; rispose Diego"Y nolo conocistes"per mordere colui d'esser marano. Disse ancor messer lacomoSadoletto al Beroaldoche affermava voler in ogni modo andare a Bologna:"Che causa v'induce cosí adesso lasciar Romadove son tanti piaceriperandar a Bolognache tutta è involta nei travagli?" Rispose il Beroaldo:"Per tre conti m'è forza andar a Bologna"e già aveva alzati tredita della man sinistra per assignar tre cause dell'andata sua; quando messerIacomo súbito l'interruppe e disse: "Questi tre conti che vi fanno andarea Bologna sono: l'uno il conte Ludovico da San Bonifaciol'altro il conteErcole Rangoneil terzo il conte de' Pepoli". Ognun allora riseperchéquesti tre conti eran stati discipuli del Beroaldo e bei giovanie studiavanoin Bologna. Di questa sorte di motti adunque assai si rideperché portan secorisposte contrarie a quello che l'omo aspetta d'udiree naturalmente dilettaciin tai cose il nostro errore medesimo; dal quale quando ci trovamo ingannati diquello che aspettiamoridemo.

LXIV.

Ma i modi del parlare e le figure che hanno grazia neiragionamenti gravi e severiquasi sempre ancor stanno ben nelle facezie egiochi. Vedete che le parole contraposte dànno ornamento assaiquando unaclausola contraria s'oppone all'altra. Il medesimo modo spesso è facetissimo.Come un Genoeseil quale era molto prodigo nello spendereessendo ripreso daun usuraio avarissimo che gli disse: "E quando cessarai tu mai di gittarvia le tue facultà?""Allor"rispose"che tu di robarquelle d'altri". E perchécome già avemo dettodai lochi donde sicavano facezie che mordonodai medesimi spesso si possono cavar detti gravi chelaudinoper l'uno e l'altro effetto è molto grazioso e gentil modo quandol'omo consente o conferma quello che dice colui che parlama lo interpretaaltramente di quello che esso intende. Come a questi giornidicendo un prete divilla la messa ai suoi populanidopo l'aver publicato le feste di quellasettimanacominciò in nome del populo la confession generale; e dicendo:"Io ho peccato in mal farein mal direin mal pensare"e quel cheséguitafacendo menzion de tutti i peccati mortali un comparee moltodomestico del preteper burlarlo disse ai circunstanti: "Siate testimoniitutti di quello che per sua bocca confessa aver fatto perch'io intendonotificarlo al vescovo". Questo medesimo modo usò Sallaza dalla Pedradaper onorar una signoracon la quale parlandopoi che l'ebbe laudataoltre levirtuose condizioniancor di bellezzaed essa rispostogli che non meritava tallaudeper esser già vecchiale disse: "Signoraquello che di vecchioavetenon è altro che lo assimigliarvi agli angeliche furono le prime e piúantiche creature che mai formasse Dio".

LXV.

Molto serveno ancor cosí i detti giocosi per pungerecome idetti gravi per laudarele metafore bene accomodatee massimamente se sonrisposte e se colui che risponde persiste nella medesima metafora dettadall'altro. E di questo modo fu risposto a messer Palla de' Strozziil qualeessendo forauscito di Fiorenza e mandandovi un suo per altri negozigli dissequasi minacciando: "Dirai da mia parte a Cosimo de' Medici che la gallinacova". Il messo fece l'ambasciata impostagli; e Cosimosenza pensarvisúbito gli rispose: "E tu da mia parte dirai a messer Palla che le gallinemal possono covar fuor del nido". Con una metafora laudò ancor messerCamillo Porcaro gentilmente il signor Marc'Antonio Colonna; il qualeavendointeso che messer Camillo in una sua orazione aveva celebrato alcuni signoriitaliani famosi nell'arme etra gli altrid'esso aveva fatto onoratissimamenzionedopo l'averlo ringraziato. gli disse: "Voimesser Camilloavetefatto degli amici vostri quello che de' suoi denari talor fanno alcunimercatantili quali quando si ritrovano aver qualche ducato falsoperspazzarlo pongon quel solo tra molti boni ed in tal modo lo spendeno; cosí voiper onorarmibench'io poco vagliam'avete posto in compagnia di cosí virtuosied eccellenti signorich'io col merito loro forsi passerò per buono".Rispose allor messer Camillo: "Quelli che falsifican li ducati soglionocosí ben dorarliche all'occhio paiono molto piú belli che i boni; però secosí si trovassero alchimisti d'ominicome si trovano de' ducatiragionsarebbe suspettar che voi foste falsoessendocome sètedi molto piú belloe lucido metalloche alcun degli altri". Eccovi che questo loco è communeall'una e l'altra sorte de' motti; e cosí sono molt'altridei quali sipotrebbon dare infiniti esempie massimamente in detti gravi; come quello chedisse il Gran Capitanoil qualeessendosi posto a tavola ed essendo giàoccupati tutti i lochivide che in piedi erano restati dui gentilomini italianii quali avean servito nella guerra molto bene; e súbito esso medesimo si levòe fece levar tutti gli altri e far loco a que' doi e disse: "Lassatesentare a mangiar questi signoriche se essi non fossero statinoi altri nonaremmo ora che mangiare". Disse ancor a Diego Garziache lo confortava alevarsi d'un loco pericolosodove batteva l'artigliaria: "Dapoi che Dionon ha messo paura nell'animo vostronon la vogliate voi metter nel mio".E 'l re Luigiche oggi è re di Franciaessendoglipoco dapoi che fu creatoredetto che allor era il tempo di castigar i suoi nemiciche lo aveano tantooffeso mentre era duca d'Orliensrispose che non toccava al re di Franciavendicar l'ingiurie fatte al duca d'Orliens.

LXVI.

Si morde ancora spesso facetamente con una certa gravitàsenza indur riso: come disse Gein Ottomannifratello del Gran Turcoessendopregione in Romache 'l giostrarecome noi usiamo in Italiagli parea troppoper scherzare e poco per far da dovero. E disseessendogli referito quanto ilre Ferrando minore fosse agile e disposto della persona nel correresaltarevolteggiare e tai coseche nel suo paese i schiavi facevano questi esercizimai signori imparavano da fanciulli la liberalità e di questa si laudavano. Quasiancora di tal manerama un poco piú ridiculofu quello che dissel'arcivescovo di Fiorenza al cardinale Alessandrinoche gli omini non hannoaltro che la robbail corpo e l'anima: la robba è lor posta in travaglio daiiurisconsultiil corpo dai medici e l'anima dai teologi -. Rispose allor ilMagnifico Iuliano: - A questo giunger si potrebbe quello che diceva Nicolettocioè che di raro si trova mai iurisconsulto che litighiné medico che piglimedicinané teologo che sia bon cristiano -.

LXVII.

Rise messer Bernardopoi suggiunse: - Di questi sonoinfiniti esempidetti da gran signori ed omini gravissimi. Ma ridesi ancoraspesso delle comparazionicome scrisse il nostro Pistoia a Serafino:"Rimanda il valigion che t'assimiglia"; chése ben vi ricordateSerafino s'assimigliava molto ad una valigia. Sono ancora alcuni che sidilettano di comparar omini e donne a cavallia caniad uccelli e spesso acassea scannia carria candeglieri; il che talor ha graziatalor èfreddissimo. Però in questo bisogna considerare il locoil tempole persone el'altre cose che già tante volte avemo detto -. Allor il signor GasparPallavicino: - Piacevole comparazione- disse- fu quella che fece il signorGiovanni Gonzaga nostrodi Alessandro Magno al signor Alessandro suo figliolo.- Io non lo so - rispose messer Bernardo. Disse il signor Gasparo: - Giocava ilsignor Giovanni a tre dadi ecome è sua usanzaaveva perduto molti ducati etuttavia perdea; ed il signor Alessandro suo figlioloil qualeancor che siafanciullonon gioca men volentieri che 'l padrestava con molta attenzionemirandoloe parea tutto tristo. Il Conte di Pianellache con molti altrigentilomini era presentedisse: "Eccovisignoreche 'l signor Alessandrosta mal contento della vostra perdita e si strugge aspettando pur che vinciateper aver qualche cosa di vinta; però cavatilo di questa angoniae prima cheperdiate il resto donategli almen un ducatoacciò che esso ancor possa andarea giocare co' suoi compagni". Disse allor il signor Giovanni: "Voiv'ingannateperché Alessandro non pensa a cosí piccol cosa; macome siscrive che Alessandro Magnomentre che era fanciullointendendo che Filipposuo padre avea vinto una gran battaglia ed acquistato un certo regnocominciòa piangereed essendogli domandato perché piangeva risposeperché dubitavache suo padre vincerebbe tanto paeseche non lassarebbe che vincere a lui;cosí ora Alessandro mio figliolo si dole e sta per pianger vedendo ch'io suopadre perdoperché dubita ch'io perda tantoche non lassi che perder alui" -.

LXVIII.

E quivi essendosi riso alquantosuggiunse messer Bernardo: -È ancora da fuggire che 'l motteggiar non sia impio; ché la cosa passa poi alvoler esser arguto nel biastemmare e studiare di trovare in ciò novi modi; ondedi quello che l'omo merita non solamente biasimoma grave castigopar che necerchi gloria; il che è cosa abominevole; e però questi taliche voglionmostrar di esser faceti con poca reverenzia di Diomeritano esser cacciati dalconsorzio d'ogni gentilomo. Né meno quelli che son osceni e sporchi nel parlaree che in presenzia di donne non hanno rispetto alcunoe pare che non piglinoaltro piacer che di farle arrossire di vergognae sopra di questo vannocercando motti ed arguzie. Come quest'anno in Ferrara ad un convito in presenziadi molte gentildonne ritrovandosi un Fiorentino ed un Sanesei quali per lopiúcome sapetesono nemicidisse il Sanese per mordere il Fiorentino:"Noi abbiam maritato Siena allo Imperatore ed avemogli dato Fiorenza indota"; e questo disseperché di que' dí s'era ragionato ch'e Sanesiavean dato una certa quantità di denari allo Imperatore ed esso aveva tolto lalor protezione. Rispose súbito il Fiorentino: "Siena sarà la primacavalcata (alla franzesema disse il vocabulo italiano); poi la dote silitigherà a bell'aggio". Vedete che il motto fu ingenioso maper esser inpresenzia di donnediventò osceno e non conveniente -.

LXIX.

Allora il signor Gaspar Pallavicino- Le donne- dissenonhanno piacere di sentir ragionar d'altro; e voi volete levarglielo. Ed io per mesonomi trovato ad arrossirmi di vergogna per parole dettemi da donnemolto piúspesso che da omini. - Di queste tai donne non parlo io- disse messerBernardo; - ma di quelle virtuoseche meritano riverenzia ed onore da ognigentilomo -. Disse il signor Gasparo: - Bisogneria ritrovare una sottil regolaper cognoscerleperché il piú delle volte quelle che sono in apparenzia lemigliori in effetto sono il contrario -. Allor messer Bernardo ridendo disse: -Se qui presente non fosse il signor Magnifico nostroil quale in ogni loco èallegato per protettor delle donneio pigliarei l'impresa di rispondervi; manon voglio far ingiuria a lui -. Quiv gnora Emiliapur ridendodisse: - Ledonne non hanno bisogno di diffensore alcuno contra accusatore di cosí pocaautorità; però lasciate pur il signor Gasparo in questa perversa opinioneenata piú presto dal suo non aver mai trovato donna che l'abbia voluto vedereche da mancamento alcuno delle donne; e seguitate voi il ragionamento dellefacezie -.

LXX.

Allora messer Bernardo- Veramentesignora- disse- omaiparmi aver detto de' molti lochi onde cavar si possono motti argutii quali poihanno tanto piú grazia quanto sono accompagnati da una bella narrazione. Purancor molt'altri si potrian dire; come quandoo per accrescere o per minuiresi dicon cose che eccedeno incredibilmente la verisimilitudine; e di questasorte fu quella che disse Mario da Volterra d'un prelatoche si tenea tantogrand'omoche quando egli entrava in san Pietro s'abbassava per non dare dellatesta nell'architravo della porta. Disse ancora il Magnifico nostro qui cheGolpino suo servitore era tanto magro e seccoche una mattinasoffiandosott'il foco per accenderloera stato portato dal fumo su per lo camino insinoalla cima; ed essendosi per sorte traversato ad una di quelle finestretteavevaaúto tanto di venturache non era volato via insieme con esso. Disse ancormesser Augustino Bevazzano che uno avaroil quale non aveva voluto vendere ilgrano mentre che era carovedendo che poi s'era molto avvilitoperdisperazione s'impiccò ad un trave della sua camera; ed avendo un servitor suosentito il strepitocorse e vide il patron impiccatoe prestamente tagliò lafune e cosí liberollo dalla morte; da poi l'avarotornato in sévolse chequel servitor gli pagasse la sua fune che tagliata gli avea. Di questa sortepare ancor che sia quello che disse Lorenzo de' Medici ad un buffon freddo:"Non mi faresti riderese mi solleticasti". E medesimamente risposead un altro scioccoil quale una mattina l'avea trovato in letto molto tardiegli rimproverava il dormir tantodicendogli: "Io a quest'ora son stato inMercato Novo e Vecchiopoi fuor della Porta a san Gallointorno alle mura afar esercizio ed ho fatto mill'altre cose; e voi ancor dormite?" Disseallora Lorenzo: "Piú vale quello che ho sognato in un'ora ioche quelloche avete fatto in quattro voi".

LXXI.

È ancor belloquando con una risposta l'omo riprende quelloche par che riprendere non voglia. Come il marchese Federico di Mantuapadredella signora Duchessa nostraessendo a tavola con molti gentilominiund'essidapoi che ebbe mangiato tutto un minestrodisse: "Signor Marcheseperdonatimi"; e cosí dettocominciò a sorbire quel brodo che gli eraavanzato. Allora il Marchese súbito disse: "Domanda pur perdono ai porciché a me non fai tu ingiuria alcuna". Disse ancora messer Nicolò Leonicoper tassar un tiranno ch'avea falsamente fama di liberale: "Pensate quantaliberalità regna in costuiche non solamente dona la robba suama ancorl'altrui".

LXXII.

Assai gentil modo di facezie è ancor quello che consiste inuna certa dissimulazionequando si dice una cosa e tacitamente se ne intendeun'altra; non dico già di quella manera totalmente contrariacome se ad unnano si dicesse gigantee ad un negrobianco; o veroad un bruttissimobellissimoperché son troppo manifeste contrarietàbenché queste ancoralcuna volta fanno ridere; ma quando con un parlar severo e grave giocando sidice piacevolmente quello che non s'ha in animo. Come dicendo un gentilomo unaespressa bugia a messer Augustin Foglietta ed affermandola con efficaciaperché gli parea pur che esso assai difficilmente la credessedisse in ultimomesser Augustino: "Gentilomose mai spero aver piacer da voifatemi tantagrazia che siate contentoch'io non creda cosa che voi dicate". Replicandopur costuie con sacramentoesser la veritàin fine disse: "Poiché voipur cosí voleteio lo crederò per amor vostroperché in vero io farei ancormaggior cosa per voi". Quasi di questa sorte disse don Giovanni di Cardonad'uno che si voleva partir di Roma: "Al parer mio costui pensa male;perché è tanto sceleratoche stando in Roma ancor col tempo poria essercardinale". Di questa sorte è ancor quello che disse Alfonso Santa Croce;il qualavendo avuto poco prima alcuni oltraggi dal Cardinale di Paviaepasseggiando fuor di Bologna con alcuni gentilomini presso al loco dove si fa lagiustiziae vedendovi un omo poco prima impiccatose gli rivoltò con un certoaspetto cogitabundo e disse tanto forte che ognun lo sentí: "Beato tuchenon hai che fare col Cardinale di Pavia!"

LXXIII.

E questa sorte di facezie che tiene dell'ironico pare moltoconveniente ad omini grandiperché è grave e salsa e possi usare nelle cosegiocose ed ancor nelle severe. Però molti antichie dei piú estimatil'hannousatacome CatoneScipione Affricano minore; ma sopra tutti in questa dicesiesser stato eccellente Socrate filosofoed a' nostri tempi il re Alfonso Primod'Aragona; il quale essendo una mattina per mangiarelevossi molte precioseanella che nelli diti avea per non bagnarle nello lavar delle mani e cosí lediede a quello che prima gli occorsequasi senza mirar chi fusse. Quelservitore pensò che 'l re non avesse posto cura a cui date l'avesse e cheperi pensieri di maggior importanziafacil cosa fosse che in tutto se loscordasse; ed in questo piú si confirmòvedendo che 'l re piú non leridomandava; e stando giorni e settimane e mesi senza sentirne mai parolasipensò di certo esser sicuro. E cosí essendo vicino all'anno che questo gli eraoccorsoun'altra mattinapur quando il re voleva mangiaresi rappresentòeporse la mano per pigliar le anella; allora il reaccostatosegli all'orecchiogli disse: "Bastinti le primeché queste saran bone per un altro".Vedete come il motto è salsoingenioso e grave e degno veramente dellamagnanimità d'uno Alessandro.

LXXIV.

Simile a questa maniera che tende all'ironico è ancora unaltro modoquando con oneste parole si nomina una cosa viciosa. Come disse ilGran Capitano ad un suo gentilomoil quale dopo la giornata della Cirignolaequando le cose già erano in securogli venne incontro armato riccamente quantodir si possacome apparechiato di combattere; ed allor il Gran Capitanorivolto a don Ugo di Cardonadisse: "Non abbiate ormai piú paura ditormento di mareché santo Ermo è comparito"; e con quella onesta parolalo punseperché sapete che santo Ermo sempre ai marinari appar dopo latempesta e dà segno di tranquillità; e cosí volse dire il Gran Capitano cheessendo comparito questo gentilomoera segno che il pericolo già era in tuttopassato. Essendo ancora il signor Ottaviano Ubaldino a Fiorenza in compagniad'alcuni cittadini di molta autoritàe ragionando di soldatiun di quei gliaddimandò se conosceva Antonello da Forlíil qual allor s'era fuggito dalstato di Fiorenza. Rispose il signor Ottaviano: "Io non lo conoscoaltrimentima sempre l'ho sentito ricordare per un sollicito soldato";disse allor un altro Fiorentino: "Vedete come egli è sollicitoche siparte prima che domandi licenzia".

LXXV.

Arguti motti son ancor quelliquando del parlar proprio delcompagno l'omo cava quello che esso non vorria; e di tal modo intendo cherispose il signor Duca nostro a quel castellano che perdé San Leo quando questostato fu tolto da papa Alessandro e dato al duca Valentino; e fuche essendo ilsignor Duca in Venezia in quel tempo ch'io ho dettovenivano di continuo moltide' suoi sudditi a dargli secretamente notizia come passavan le cose del stato;e fra gli altri vennevi ancor questo castellanoil qualedopo l'aversiescusato il meglio che seppedando la colpa alla sua disgraziadisse:"Signornon dubitateché ancor mi basta l'animo di far di modoche sipotrà ricuperar San Leo". Allor rispose el signor Duca: "Non tiaffaticar piú in questo; ché già il perderlo è stato un far di modoche 'lsi possa ricuperare". Son alcun'altri detti quando un omoconosciuto peringeniosodice una cosa che par che proceda da sciocchezza. Come l'altro giornodisse messer Camillo Palleotto d'uno: "Questo pazzosúbito che hacominciato ad arricchires'è morto". È simile a questo modo una certadissimulazion salsa ed acutaquando un omocome ho dettoprudentemostra nonintender quello che intende. Come disse il marchese Federico de Mantuailqualeessendo stimulato da un fastidiosoche si lamentava che alcuni suoivicini con lacci gli pigliavano i colombi della sua colombara e tuttavia in manone tenea uno impiccato per un piè insieme col laccioche cosí morto trovatol'avevagli rispose che si provederia. Il fastidioso non solamente una volta mamolte replicando questo suo dannocol mostrar sempre il colombo cosíimpiccatodicea pur: "E che vi parSignorche far si debba di questacosa?" Il Marchese in ultimo"A me par" disse"che perniente quel colombo non sia sepellito in chiesaperché essendosi impiccato dase stessoè da credere che fosse disperato". Quasi di tal modo fu quel diScipione Nasica ad Ennio; chéessendo andato Scipione a casa d'Ennio perparlarglie chiamandol giú dalla stradauna sua fante gli rispose che eglinon era in casa: e Scipione udí manifestamente che Ennio proprio avea dettoalla fante che dicesse ch'egli non era in casa: cosí si partí. Non moltoappresso venne Ennio a casa di Scipione e pur medesimamente lo chiamava standoda basso; a cui Scipione ad alta voce esso medesimo rispose che non era in casa.Allora Ennio"Come? non conosco io"rispose"la vocetua?" Disse Scipione: "Tu sei troppo discortese; l'altro giorno iocredetti alla fante tua che tu non fossi in casa e ora tu nol vòi credere a mestesso".

LXXVI.

È ancor belloquando uno vien morso in quella medesima cosache esso prima ha morso il compagno; come essendo Alonso Carillo alla corte diSpagna ed avendo commesso alcuni errori giovenili e non di molta importanziaper comandamento del re fu posto in prigione e quivi lasciato una notte. Il díseguente ne fu trattoe cosívenendo a palazzo la mattinagiunse nella saladove eran molti cavalieri e dame; e ridendosi di questa sua prigioniadisse lasignora Boadilla: "Signor Alonsoa me molto pesava di questa vostradisavventuraperché tutti quelli che vi conoscono pensavan che 'l re dovessefarvi impiccare". Allora Alonso súbito"Signora"disse"io ancor ebbi gran paura di questo; pur aveva speranza che voi midimandaste per marito". Vedete come questo è acuto ed ingenioso; perchéin Spagnacome ancor in molti altri lochiusanza è che quando si mena unoalle forchese una meretrice publica l'addimanda per maritodonasegli la vita.Di questo modo rispose ancor Rafaello pittore a dui cardinali suoi domesticiiqualiper farlo diretassavano in presenzia sua una tavola che egli aveafattadove erano san Pietro e san Paulodicendo che quelle due figure erantroppo rosse nel viso. Allora Rafaello súbito disse: "Signorinon vimaravigliate; ché io questi ho fatto a sommo studioperché è da credere chesan Pietro e san Paulo sianocome qui gli vedeteancor in cielo cosí rossiper vergogna che la Chiesa sua sia governata da tali omini come siete voi".

LXXVII.

Sono ancor arguti quei motti che hanno in sé una certanascosa suspizion di riderecomelamentandosi un marito molto e piangendo suamoglieche da se stessa s'era ad un fico impiccataun altro se gli accostò etiratolo per la vestedisse: "Fratellopotrei io per grazia grandissimaaver un rametto de quel ficoper inserire in qualche albero dell'ortomio?" Son alcuni altri motti pazienti e detti lentamente con una certagravità; comeportando un contadino una cassa in spallaurtò Catone conessapoi disse: "Guarda". Rispose Catone: "Hai tu altro inspalla che quella cassa?" Ridesi ancor quando un omoavendo fatto unerroreper remediarlo dice una cosa a sommo studioche par scioccae purtende a quel fine che esso disegnae con quella s'aiuta. Come a questi díinconsiglio di Fiorenza ritrovandosi doi nemicicome spesso interviene in questerepublicel'uno d'essiil quale era di casa Altovitidormiva; e quello chegli sedeva vicinoper riderebenché 'l suo avversarioche era di casaAlamanninon parlasse né avesse parlatotoccandolo col cubito lo risvegliò edisse: "Non odi tu ciò che il tale dice? rispondiché gli Signoridimandano del parer tuo". Allora l'Altovititutto sonnachioso e senzapensar altrosi levò in piedi e disse: "Signoriio dico tutto ilcontrario di quello che ha detto l'Alamanni". Rispose l'Alamanni: "Ohio non ho detto nulla". Súbito disse l'Altoviti: "Di quello che tudirai". Disse ancor di questo modo maestro Serafinomedico vostrourbinatead un contadinoil qualavendo avuta una gran percossa in un occhiodi sorte che in vero glielo avea cavatodeliberò pur d'andar per rimedio amaestro Serafino; ed essovedendolobenché conoscesse esser impossibile ilguarirloper cavargli denari delle manicome quella percossa gli avea cavatol'occhio della testagli promise largamente di guarirlo; e cosí ogni dí gliaddimandava denariaffermando che fra cinque o sei dí cominciaria a riaver lavista. Il pover contadino gli dava quel poco che aveva; purvedendo che la cosaandava in lungocominciò a dolersi del medico e dir che non sentivamiglioramento alcunoné discernea con quello occhio piú che se non l'avesseaúto in capo. In ultimovedendo maestro Serafino che poco piú potea trarglidi manodisse: "Fratello miobisogna aver pacienzia: tu hai perdutol'occhioné piú v'è rimedio alcuno; e Dio voglia che tu non perdi ancoquell'altro". Udendo questoil contadino si mise a piangere e dolersiforte e disse: "Maestrovoi m'avete assassinato e rubato i miei denari; iomi lamentarò al signor Duca"; e facea i maggior stridi del mondo. Alloramaestro Serafino in collera e per svilupparsi"Ah villan traditor"disse"dunque tu ancor vorresti avere dui occhicome hanno i cittadini egli omini da bene? vattene in malora": e queste parole accompagnò contanta furiache quel povero contadino spaventato si tacque e cheto cheto sen'andò con Diocredendosi d'aver il torto.

LXXVIII.

È ancor bello quando si dechiara una cosa o si interpretagiocosamente. Come alla corte di Spagna comparendo una mattina a palazzo uncavalieroil quale era bruttissimoe la moglieche era bellissimal'uno el'altro vestiti di damasco biancodisse la Reina ad Alonso Carillo: "Chevi parAlonsodi questi dui?" "Signora"rispose Alonso"parmi che questa sia la dama e questo lo asco"che voldir schifo. Vedendo ancor Rafaello de' Pazzi una lettra del Priore di Messinache egli scriveva ad una sua signorail soprascritto della qual dicea: Estacarta s'ha de dar a quien causa mi penar"Parmi"disse"Chequesta lettera vada a Paolo Tolosa". Pensate come risero i circunstantiperché ognuno sapea che Paolo Tolosa aveva prestato al Prior dieci mila ducati;ed essoper esser gran spenditornon trovava modo di rendergli. A questo èsimile quando si dà una ammonizion famigliare in forma di consigliopurdissimulatamente. Come disse Cosimo de' Medici ad un suo amicoil qual eraassai riccoma di non molto saperee per mezzo pur di Cosimo aveva ottenuto unofficio fuor di Firenze; e dimandando costui nel partir suo a Cosimoche modogli parea che egli avesse a tenere per governarsi bene in questo suo officioCosimo gli rispose: "Vesti di rosatoe parla poco". Di questa sortefu quello che disse il conte Ludovico ad uno che volea passar incognito per uncerto loco pericoloso e non sapea come travestirsi; ed essendone il Conteaddimandatorispose: "Véstiti da dottoreo di qualche altro abito dasavio". Disse ancor Giannotto de' Pazzi ad un che volea far un saio d'armedei piú diversi colori che sapesse trovare: "Piglia parole ed opre delCardinale di Pavia".

LXXIX.

Ridesi ancor d'alcune cose discrepanti; come disse unol'altro giorno a messer Antonio Rizzo d'un certo Forlivese: "Pensate s'èpazzoche ha nome Bartolomeo". Ed un altro: "Tu cerchi un maestroStallae non hai cavalli"; ed"A costui non manca però altro che larobba e 'l cervello". E d'alcun'altre che paion consentanee; comea questidíessendo stato suspizione che uno amico nostro avesse fatto fare unarenunzia falsa d'un beneficioessendo poi malato un altro pretedisse AntonioTorello a quel tale: "Che stai tu a farche non mandi per quel tuo notaroe vedi di carpir quest'altro beneficio?" Medesimamente d'alcune che nonsono consentanee; come l'altro giorno avendo il Papa mandato per messer GiovanLuca da Pontremolo e per messer Domenico dalla Portai qualicome sapetesontutti dui gobbie fattogli Auditoridicendo voler indrizzare la Rotadissemesser Latin Iuvenale: "Nostro Signore s'ingannavolendo con dui tortiindrizzar la Rota".

LXXX.

Ridesi ancor spesso quando l'omo concede quello che se glidiceed ancor piúma mostra intenderlo altramente. Comeessendo il capitanPeralta già condutto in campo per combattere con Aldana e domandando il capitanMolartche era patrino d'Aldanaa Peralta il sacramentos'avea addosso brevio incanti che lo guardassero da esser feritoPeralta giurò che non aveaaddosso né brevi né incanti né reliquie né devozione alcuna in che avessefede. Allor Molartper pungerlo che fosse maranodisse "Non vi affaticatein questoché senza giurare credo che non abbiate fede né anco inCristo". È ancor bello usar le metafore a tempo in tai propositi; come ilnostro maestro Marco Antonioche disse a Botton da Cesenache lo stimulava conparole: "BottonBottonetu sarai un dí il bottone e 'l capestro sarà lafenestrella". Ed avendo ancor maestro Marco Antonio composto una moltolunga comedia e di varii attidisse il medesimo Botton pur a maestroMarc'Antonio: "A far la vostra comedia bisogneranno per lo apparato quantilegni sono in Schiavonia"; rispose maestro Marc'Antonio: "E perl'apparato della tua tragedia basteran tre solamente".

LXXXI.

Spesso si dice ancor una parolanella quale è una nascostasignificazione lontana da quello che par che dir si voglia. Come il signorPrefetto quisentendo ragionare d'un capitanoil quale in vero a' suoi dí ilpiú delle volte ha perdutoe allor pur per avventura avea vinto; e dicendocolui che ragionavache nella entrata che egli avea fatta in quella terra s'eravestito un bellissimo saio di velluto cremosí il qual portava sempre dopo levittoriedisse il signor Prefetto: "Dee esser novo". Non meno induceil risoquando talor si risponde a quello che non ha detto colui con cui siparlao ver si mostra creder che abbia fatto quello che non ha fattoe doveafare. Come Andrea Cosciaessendo andato a visitare un gentilomoil qualediscortesemente lo lasciava stare in piedied esso sedeadisse: "Poichévostra Signoria me lo commandaper obedire io sederò"; e cosí si pose asedere.

LXXXII.

Ridesi ancor quando l'omo con bona grazia accusa se stesso diqualche errore; come l'altro giornodicendo io al capellan del signor DucacheMonsignor mio avea un capellano che dicea messa piú presto di luimi rispose:"Non è possibile"; ed accostatomisi all'orecchiodisse:"Sapiate ch'io non dico un terzo delle secrete". Biagin Crivelloancoressendo stato morto un prete a Milanodomandò il beneficio al Ducailqual pur stava in opinion di darlo ad un altro. Biagin in ultimovedendo chealtra ragione non gli valea"E come?" disse; "s'io ho fattoammazzar il preteperché non mi volete voi dar il beneficio?" Ha graziaancor spesso desiderare quelle cose che non possono essere; come l'altro giornoun de' nostrivedendo questi signori che tutti giocavano d'arme ed esso stavacolcato sopra un lettodisse: "Oh come mi piaceriache ancor questo fosseesercizio da valente omo e bon soldato!" È ancor bel modo e salso diparlaree massimamente in persone gravi e d'autoritàrispondere al contrariodi quello che vorria colui con chi si parlama lentamentee quasi con unacerta considerazione dubbiosa e suspesa. Come già il re Alfonso primod'Aragonaavendo donato ad un suo servitore armecavalli e vestimentiperchégli avea detto che la notte avanti sognava che sua Altezza gli dava tutte quellecose; e non molto poi dicendogli pur il medesimo servitoreche ancor quellanotte avea sognato che gli dava una bona quantità di fiorin d'orogli rispose:"Non crediate da mo inanzi ai sogniché non sono veritevoli". Diquesta sorte rispose ancor il Papa al Vescovo di Cerviail qualper tentar lavoluntà suagli disse: "Padre Santoper tutta Roma e per lo palazzoancora si dice che vostra Santità mi fa governatore". Allor il Papa"Lasciategli dire"rispose"ché son ribaldi; non dubitatechenon è vero niente".

LXXXIII.

Potrei forsi ancorsignoriraccórre molti altri lochidonde si cavano motti ridiculi; come le cose dette con timiditàconmaravigliacon minacce for d'ordinecon troppo collera; oltra di questocerticasi noviche intervenuti inducono il riso; talor la taciturnitàcon unacerta maraviglia; talor il medesimo ridere senza proposito; ma a me pare ormaiaver detto a bastanzaperché le facezie che consistono nelle parole credo chenon escano di que' termini di che noi avemo ragionato. Quelle poi che sononell'effettoavvenga che abbian infinite partipur si riducono a pochi capi;ma nell'una e nell'altra sorte la principal cosa è lo ingannar la opinione erispondere altramente che quello che aspetta l'auditore; ed è forzase lafacezia ha d'aver graziasia condita di quello ingannoo dissimulare o beffareo riprendere o comparareo qual altro modo voglia usar l'omo. E benché lefacezie inducano tutte a riderefanno però ancor in questo ridere diversieffetti; perché alcune hanno in sé una certa eleganzia e piacevolezza modestaaltre pungono talor copertamentetalor publicoaltre hanno del lascivettoaltre fanno ridere súbito che s'odonoaltre quanto piú vi si pensaaltre colriso fanno ancor arrossirealtre inducono un poco d'ira; ma in tutti i modis'ha da considerar la disposizion degli animi degli auditoriperché agliafflitti spesso i giochi dànno maggior afflizione; e sono alcune infirmitàchequanto piú vi si adopra medicinatanto piú si incrudiscono. Avendoadunque il cortegiano nel motteggiare e dir piacevolezze rispetto al tempoallepersoneal grado suo e di non esser in ciò troppo frequente (ché in vero dàfastidiotutto il giornoin tutti i ragionamenti e senza propositostarsempre su questo)potrà esser chiamato faceto; guardando ancor di non essertanto acerbo e mordaceche si faccia conoscer per malignopungendo senza causao ver con odio manifesto; o ver persone troppo potentiche è imprudenzia; over troppo misereche è crudeltà; o ver troppo scelerateche è vanità; over dicendo cose che offendan quelli che esso non vorria offendereche èignoranzia; perché si trovano alcuni che si credono esser obligati a dir epunger senza rispetto ogni volta che possonovada pur poi la cosa come vole. Etra questi tali son quelliche per dire una parola argutamentenon guardan dimacular l'onor d'una nobil donna; il che è malissima cosa e degna di gravissimocastigoperché in questo caso le donne sono nel numero dei miserie però nonmeritano in ciò essere morduteché non hanno arme da diffendersi. Maoltre aquesti rispettibisogna che colui che ha da esser piacevole e facetosiaformato d'una certa natura atta a tutte le sorti di piacevolezze ed a quelleaccommodi li costumii gesti e 'l volto; il quale quant'è piú grave e severoe saldotanto piú fa le cose che son dette parer salse ed argute.

LXXXIV.

Ma voimesser Federicoche pensaste di riposarvi sottoquesto sfogliato albero e nei mei secchi ragionamenticredo che ne siatepentito e vi paia esser entrato nell'ostaria di Montefiore; però ben sarà chea guisa di pratico corrieriper fuggir un tristo albergovi leviate un pocopiú per tempo che l'ordinario e seguitiate il camin vostro. - Anzi- risposemesser Federico- a cosí bon albergo sono io venutoche penso di starvi piúche prima non aveva deliberato; però riposerommi pur ancor fin a tanto che voidiate fine a tutto 'l ragionamento propostodel quale avete lasciato una parteche al principio nominasteche son le "burle"; e di ciò non è bonoche questa compagnia sia defraudata da voi. Ma sí come circa le facezie ciavete insegnato molte belle cose e fattoci audaci nello usarleper esempio ditanti singulari ingegni e grandi ominie príncipi e re e papicredomedesimamente che nelle burle ci darete tanto ardimentoche pigliaremo segurtàdi metterne in opera qualcuna ancor contra di voi -. Allor messer Bernardoridendo- Voi non sarete- dissei primi; ma forse non vi verrà fattoperché ormai tante n'ho ricevuteche mi guardo da ogni cosacome i cani chescottati dall'acqua caldahanno paura della fredda. Purpoiché di questoancor volete ch'io dicapenso potermene espedir con poche parole.

LXXXV.

E' parmi che la burla non sia altro che un inganno amichevoledi cose che non offendanoo almen poco; e sí come nelle facezie il dir contral'aspettazionecosí nelle burle il far contra l'aspettazione induce il riso. Equeste tanto piú piacciono e sono laudate quanto piú hanno dello ingenioso emodesto; perché chi vol burlar senza rispetto spesso offende e poi ne nasconodisordini e gravi inimicizie. Ma i lochi donde cavar si posson le burle sonquasi i medesimi delle facezie. Peròper non replicarglidico solamente chedi due sorti burle si trovanociascuna delle quali in piú parti poi divider siporia. L'una èquando s'inganna ingeniosamente con bel modo e piacevolezza chisi sia; l'altraquando si tende quasi una rete e mostra un poco d'escatalchél'omo corre ad ingannarsi da se stesso. Il primo modo è talequale fu la burlache a questi dí due gran signorech'io non voglio nominareebbero per mezzod'un Spagnolo chiamato Castiglio -. Allora la signora Duchessa- E perché-disse- non le volete voi nominare? - Rispose messer Bernardo: - Non vorrei chelo avessero a male -. Replicò la signora Duchessa ridendo: - Non si disconvientalor usare le burle ancor coi gran signori; ed io già ho udito molte essernestate fatte al duca Federicoal re Alfonso d'Aragonaalla reina donna Isabelladi Spagna ed a molti altri gran príncipi; ed essi non solamente non lo averavuto a malema aver premiato largamente i burlatori -. Rispose messerBernardo: - Né ancor con questa speranza le nominarò io. - Dite come vi piace- suggiunse la signora Duchessa. Allor seguitò messer Bernardo e disse: - Pochidí sono che nella corte di chi io intendo capitò un contadin bergamasco perservizio di un gentilom cortegianoil qual fu tanto ben divisato di panni edacconcio cosí attillatamente cheavvenga che fosse usato solamente a guardarbuoiné sapesse far altro mestieroda chi non l'avesse sentito ragionaresaria stato tenuto per un galante cavaliero; e cosí essendo detto a quelle duesignore che quivi era capitato un Spagnolo servitore del cardinale Borgia che sichiamava Castiglioingeniosissimomusicodanzatoreballatore e piú accortocortegiano che fosse in tutta Spagnavennero in estremo desiderio di parlarglie súbito mandarono per esso; e dopo le onorevoli accoglienzelo fecero sederee cominciarono a parlargli con grandissimo riguardo in presenzia d'ognuno; epochi eran di quelli che si trovavano presentiche non sapessero che costui eraun vaccaro bergamasco. Peròvedendosi che quelle signore l'intertenevano contanto rispetto e tanto l'onoravanofurono le risa grandissime; tanto piú che'l bon omo sempre parlava del suo nativo parlare zaffi bergamasco. Ma queigentilomini che faceano la burla aveano prima detto a queste signore che costuitra l'altre coseera gran burlatoree parlava eccellentemente tutte le linguee massimamente lombardo contadino; di sorte che sempre estimarono che fingesse;e spesso si voltavano l'una all'altra con certe maraviglie e diceano:"Udite gran cosacome contrafà questa lingua!" In sommatanto duròquesto ragionamentoche ad ognuno doleano gli fianchi per le risa; e fu forzache esso medesimo desse tanti contrasegni della sua nobilitàche pur in ultimoqueste signorema con gran faticacredettero che 'l fusse quello che egli era.

LXXXVI.

Di questa sorte burle ogni dí veggiamo; ma tra l'altrequelle son piacevoliche al principio spaventano e poi riescono in cosa sicuraperché il medesimo burlato si ride di se stessovedendosi aver avuto paura diniente. Come essendo io una notte alloggiato in Pagliaintervenne che nellamedesima ostaria ov'ero io erano ancor tre altri compagnidui da Pistoial'altro da Pratoi quali dopo cena si miserocome spesso si faa giocare:cosí non v'andò molto che uno dei dui Pistolesiperdendo il restorestòsenza un quattrinodi modo che cominciò a desperarsi e maledire e biastemarefieramente; e cosí rinegando se n'andò a dormire. Gli altri duiavendoalquanto giocatodeliberarono fare una burla a questo che era ito a letto.Ondesentendo che esso già dormivaspensero tutti i lumi e velarono il foco;poi si misero a parlar alto e far i maggiori romori del mondomostrando venirea contenzione del giocodicendo uno: "Tu hai tolto la carta disotto"; l'altro negandolocon dire: "E tu hai invitato sopra flusso;il gioco vadi a monte"; e cotai cosecon tanto strepitoche colui chedormiva si risvegliò; e sentendo che costoro giocavano e parlavano cosí comese vedessero le carteun poco aperse gli occhie non vedendo lume alcuno incameradisse: "E che diavol farete voi tutta notte di cridare?" Poisúbito se rimise giúcome per dormire. I dui compagni non li diederoaltrimenti rispostama seguitarono l'ordine suo; di modo che costuimegliorisvegliatocominciò a maravigliarsie vedendo certo che ivi non era né foconé splendor alcuno e che pur costoro giocavano e contendevanodisse: "Ecome potete voi veder le carte senza lume?" Rispose uno delli dui: "Tudèi aver perduto la vista insieme con li danari; non vedi tuse qui abbiam duecandele?" Levossi quello che era in letto su le braccia e quasi adiratodisse: "O ch'io sono ebriaco o ciecoo voi dite le bugie". Li duelevaronsi ed andarono a letto tentoniridendo e mostrando di credere che coluisi facesse beffe di loro; ed esso pur replicava: "Io dico che non viveggo". In ultimo li dui cominciarono a mostrare di maravigliarsi forte el'uno disse all'altro: "Oimèparmi che 'l dica da dovero; da' qua quellacandelae veggiamo se forse gli si fosse inturbidata la vista". Allor quelmeschino tenne per fermo d'esser diventato ciecoe piangendo dirottamentedisse: "O fratelli meiio son cieco"; e súbito cominciò a chiamarla Nostra Donna di Loreto e pregarla che gli perdonasse le biastemme e lemaledizioni che gli avea date per aver perduto i denari. I dui compagni pur loconfortavano e dicevano: "E' non è possibile che tu non ci vegghi; egli èuna fantasia che tu t'hai posta in capo". "Oimè"replicaval'altro"che questa non è fantasiané vi veggo io altrimenti che se nonavessi mai avuti occhi in testa". "Tu hai pur la vista chiara"rispondeano li dui e diceano l'un altro: "Guarda come egli apre ben gliocchi e come gli ha belli! e chi poria creder ch'ei non vedesse?" Ilpoveretto tuttavia piangea piú forte e dimandava misericordia a Dio. In ultimocostoro gli dissero: "Fa' voto d'andare alla Nostra Donna di Loretodevotamente scalzo ed ignudoché questo è il miglior rimedio che si possaavere; e noi fra tanto andaremo ad Acqua Pendente e quest'altre terre vicine perveder di qualche medicoe non ti mancaremo di cosa alcuna possibile".Allora quel meschino súbito s'inginocchiò nel lettoe con infinite lacrime edamarissima penitenzia dello aver biastemato fece voto solenne d'andar ignudo aNostra Signora di Loreto ed offerirgli un paio d'occhi d'argento e non mangiarcarne il mercorené ova il veneree digiunar pane ed acqua ogni sabbato adonore di Nostra Signorase gli concedeva grazia di ricuperar la vista. I duicompagnientrati in un'altra cameraaccesero un lume e se ne vennero con lemaggior risa del mondo davanti a questo poveretto; il qualebenché fosselibero di cosí grande affannocome potete pensarepur era tanto attonitodella passata paurache non solamente non potea riderema né pur parlare; eli dui compagni non faceano altro che stimularlodicendo che era obligato apagar tutti questi votiperché avea ottenuta la grazia domandata.

LXXXVII.

Dell'altra sorte di burlequando l'omo inganna se stessonon darò io altro esempiose non quello che a me intervennenon è grantempo: perché a questo carneval passato Monsignor mio di San Pietro ad Vinculail qual sa come io mi piglio piacerquando son mascheradi burlar fratiavendo prima ben ordinato ciò che fare intendevavenne insieme un dí conMonsignor d'Aragona ed alcuni altri cardinali a certe finestre in Banchimostrando voler star quivi a veder passar le mascherecome è usanza di Roma.Ioessendo mascherapassaie vedendo un frate cosí da un canto che stava unpoco suspesogiudicai aver trovata la mia ventura e súbito gli corsi come unfamelico falcone alla preda; e prima domandatogli chi egli eraed essorispostomimostrai di conoscerlo e con molte parole cominciai ad indurlo acredere che 'l barigello l'andava cercando per alcune male informazioni che dilui s'erano avutee confortarlo che venisse meco insino alla cancelleriachéio quivi lo salvarei. Il fratepauroso e tutto tremanteparea che non sapesseche si fare e dicea dubitarse si dilungava da San Celsod'esser preso. Io purfacendogli bon animogli dissi tantoche mi montò di groppaed allor a meparve d'aver a pien compíto il mio disegno; cosí súbito cominciai a rimettereil cavallo per Banchiil qual andava saltellando e traendo calci. Imaginate orvoi che bella vista facea un frate in groppa di una mascheracol volare delmantello e scuotere il capo innanzi e 'ndietroche sempre parea che andasse percadere. Con questo bel spettaculo cominciarono que' signori a tirarci ova dallefinestrepoi tutti i banchieri e quante persone v'erano; di modo che non conmaggior impeto cadde dal cielo mai la grandinecome da quelle finestre cadeanol'ovale quali per la maggior parte sopra di me venivano; ed io per essermaschera non mi curavae pareami che quelle risa fossero tutte per lo frate enon per me; e per questo piú volte tornai innanzi e 'ndietro per Banchisemprecon quella furia alle spalle; benché il frate quasi piangendo mi pregava ch'iolo lassassi scenderee non facessi questa vergogna all'abito; poidi nascostoil ribaldo si facea dar ova ad alcuni staffieri posti quivi per questo effettoe mostrando tenermi stretto per non cadere me le schiacciava nel pettospessoin sul capoe talor in su la fronte medesima; tanto ch'io era tutto consumato.In ultimoquando ognuno era stanco e di ridere e di tirar ovami saltò digroppae callatosi indrieto lo scapularo mostrò una gran zazzera e disse:"Messer Bernardoio son un famiglio di stalla di San Pietro ad Vincula eson quello che governa il vostro muletto". Allor io non so qual maggioreavessi o dolore o ira o vergogna; purper men malemi posi a fuggire versocasa e la mattina seguente non osava comparere; ma le risa di questa burla nonsolamente il dí seguentema quasi insino adesso son durate -.

LXXXVIII.

E cosí essendosi per lo raccontarla alquanto rinovato ilrideresuggiunse messer Bernardo: - È ancor un modo di burlare assaipiacevoleonde medesimamente si cavano faceziequando si mostra credere chel'omo voglia fare una cosache in vero non vol fare. Come essendo io in sulponte di Leone una sera dopo cenae andando insieme con Cesare Beccadelloscherzandocominciammo l'un l'altro a pigliarsi alle bracciacome se lottarevolessimo; e questo perché allor per sorte parca che in su quel ponte non fussepersona; e stando cosísopragiunsero dui Franzesi i qualivedendo questonostro debattodimandarono che cosa era e fermaronsi per volerci spartireconopinion che noi facessimo questione da dovero. Allor io tosto"Aiutatemi"dissi"signoriché questo povero gentilomo acerti tempi di luna ha mancamento di cervello; ed ecco che adesso si vorria purgittar dal ponte nel fiume". Allora quei dui corseroe meco presero Cesaree tenevanlo strettissimo; ed essosempre dicendomi ch'io era pazzomettea piúforza per svilupparsi loro dalle mani e costoro tanto piú lo stringevano; disorte che la brigata cominciò a vedere questo tumulto ed ognun corse; e quantopiú il bon Cesare battea delle mani e piediché già cominciava entrare incolleratanto piú gente sopragiungeva; e per la forza grande che esso mettevaestimavano fermamente che volesse saltar nel fiumee per questo lo stringevanpiú; di modo che una gran brigata d'omini lo portarono di peso all'osteriatutto scarmigliato e senza berrettapallido dalla collera e dalla vergogna;ché non gli valse mai cosa che dicessetra perché quei Franzesi non lointendevanotra perché io ancor conducendogli all'osteria sempre andavadolendomi della disavventura del poverettoche fosse cosí impazzito.

LXXXIX.

Orcome avemo dettodelle burle si poria parlar largamente;ma basti il replicare che i lochi onde si cavano sono i medesimi delle facezie.Degli esempi poi n'avemo infinitiché ogni dí ne veggiamo; e tra gli altrimolti piacevoli ne sono nelle novelle del Boccacciocome quelle che faceanoBruno e Buffalmacco al suo Calandrino ed a maestro Simonee molte altre didonneche veramente sono ingeniose e belle. Molti omini piacevoli di questasorte ricordomi ancor aver conosciuti a' mei díe tra gli altri in Padoa unoscolar sicilianochiamato Ponzio; il qual vedendo una volta un contadino cheaveva un paro di grossi caponifingendo volergli comperare fece mercato conesso e disse che andasse a casa secochéoltre al prezzogli darebbe da farcolazione; e cosí lo condusse in parte dove era un campanileil quale èdiviso dalla chiesatanto che andar vi si po d'intorno; e proprio ad una dellequattro facce del campanile rispondeva una stradetta piccola. Quivi Ponzioavendo prima pensato ciò che far intendevadisse al contadino: "Io hogiocato questi caponi con un mio compagnoil qual dice che questa torrecircunda ben quaranta piedied io dico di no; e a punto allora quand'io titrovai aveva comperato questo spago per misurarla; peròprima che andiamo acasavoglio chiarirmi chi di noi abbia vinto"; e cosí dicendo trassesidalla manica quel spago e diello da un capo in mano al contadino e disse:"Da' qua"; e tolse i caponi e prese il spago dall'altro capo; ecomemisurar volessecominciò a circundar la torre avendo prima fatto affermar ilcontadinoe tener il spago dalla parte che era opposta a quella faccia cherispondeva nella stradetta; alla quale come esso fu giuntocosí ficcò unchiodo nel muroa cui annodò il spago; e lasciatolo in tal modocheto chetose n'andò per quella stradetta coi caponi. Il contadino per bon spazio stettefermoaspettando pur che colui finisse di misurare; in ultimopoi che piúvolte ebbe detto: "Che fate voi tanto?"volse vederee trovò chequello che tenea lo spago non era Ponzioma era un chiodo fitto nel muroilqual solo gli restò per pagamento dei caponi. Di questa sorte fece Ponzioinfinite burle. Molti altri sono ancora stati omini piacevoli di tal maneracome il Gonellail Meliolo in que' tempied ora il nostro frate Mariano efrate Serafino quie molti che tutti conoscete. Ed in vero questo modo èlodevole in omini che non facciano altra professione; ma le burle del cortegianopar che si debbano allontanar un poco piú dalla scurilità. Deesi ancoraguardar che le burle non passino alla barraria come vedemo molti mali omini chevanno per lo mondo con diverse astuzie per guadagnar denarifingendo or unacosa ed or un'altra; e che non siano anco troppo acerbee sopra tutto averrispetto e riverenziacosí in questo come in tutte l'altre cosealle donneemassimamente dove intervenga offesa della onestà -.

XC.

Allora il signor Gasparo- Per certo- disse- messerBernardovoi sète pur troppo parziale a queste donne. E per ché volete voiche piú rispetto abbiano gli omini alle donneche le donne agli omini? Non deea noi forse esser tanto caro l'onor nostroquanto ad esse il loro? A voi pareadunque che le donne debban pungere e con parole e con beffe gli omini in ognicosa senza riservo alcunoe gli omini se ne stiano muti e le ringrazino davantaggio? - Rispose allor messer Bernardo: - Non dico io che le donne nondebbano aver nelle facezie e nelle burle quei respetti agli omini che avemo giàdetti; dico ben che esse possono con piú licenzia morder gli omini di pocaonestàche non possono gli omini mordere esse; e questo perché noi stessiavemo fatta una leggeche in noi non sia vicio né mancamento né infamiaalcuna la vita dissoluta e nelle donne sia tanto estremo obbrobrio e vergognache quella di chi una volta si parla maleo falsa o vera che sia la calunniache se le dàsia per sempre vituperata. Però essendo il parlar dell'onestàdelle donne tanto pericolosa cosa d'offenderle gravementedico che dovemomorderle in altro ed astenerci da questo; perché pungendo la facezia o la burlatroppo acerbamenteesce del termine che già avemo detto convenirsi a gentilomo-.

XCI.

Quivifacendo un poco di pausa messer Bernardodisse ilsignor Ottavian Fregoso ridendo: - Il signor Gaspar potrebbe rispondervi chequesta leggeche voi allegate che noi stessi avemo fattanon è forse cosífuor di ragione come a voi pare; perché essendo le donne animaliimperfettissimi e di poca o niuna dignità a rispetto degli ominibisognavapoiché da sé non erano capaci di far atto alcun virtuosoche con la vergognae timor d'infamia si ponesse loro un frenoche quasi per forza in esseintroducesse qualche bona qualità; e parve che piú necessaria loro fosse lacontinenzia che alcuna altraper aver certezza dei figlioli; onde è statoforza con tutti gl'ingegni ed arti e vie possibili far le donne continentiequasi conceder loro che in tutte l'altre cose siano di poco valoree che semprefacdano il contrario di ciò che devriano. Però essendo lor licito far tuttigli altri errori senza biasimose noi le vorremo mordere di quei diffetti iqualicome avemo dettotutti ad esse sono conceduti e però a loro non sonodisconvenientiné esse se ne curanonon moveremo mai il riso; perché giàvoi avete detto che 'l riso si move con alcune cose che son disconvenienti -.

XCII.

Allor la signora Duchessa- In questo modo- dissesignorOttavianoparlate delle donne; e poi vi dolete che esse non v'amino? - Diquesto non mi dolgo io- rispose il signor Ottaviano- anzi le ringraziopoiché con lo amarmi non m'obligano ad amar loro; né parlo di mia opinionemadico che 'l signor Gasparo potrebbe allegar queste ragioni -. Disse messerBernardo: - Gran guadagno in vero fariano le donne se potessero riconciliarsicon dui suoi tanto gran nemiciquanto siete voi e 'l signor Gasparo. - Io nonson lor nemico- rispose il signor Gasparo- ma voi sète ben nemico degliomini; ché se pur volete che le donne non siano mordute circa questa onestàdovreste mettere una legge ad esse ancorche non mordessero gli omini in quelloche a noi cosi è vergognacome alle donne la incontinenzia. E perché non fucosí conveniente ad Alonso Cariglio la risposta che diede alla signoraBoadiglia della speranza che avea di campar la vitaperché essa lo pigliasseper maritocome a lei la proposta che ognun che lo conoscea pensava che 'l Relo avesse da far impiccare? E perché non fu cosí licito a Riciardo Minutoligabbar la moglie di Filippello e farla venir a quel bagnocome a Beatrice faruscire del letto Egano suo marito e fargli dare delle bastonate da Anichinopoiche un gran pezzo con lui giacciuta si fu? E quell'altra che si legò lo spagoal dito del piede e fece credere al marito proprio non esser dessa? Poiché voidite che quelle burle di donne nel Giovan Boccaccio son cosí ingeniose e belle-.

XCIII.

Allora messer Bernardo ridendo- Signori- disseessendostato la parte mia solamente disputar delle facezieio non intendo passar queltermine; e già penso aver detto perché a me non paia conveniente morder ledonne né in detti né in fatti circa l'onestàe ancor ad esse aver postoregulache non pungan gli omini dove lor dole. Dico ben che delle burle e mottiche voisignor Gasparoallegatequello che disse Alonso alla signoraBoadigliaavvegna che tocchi un poco la onestànon mi dispiaceperché ètirato assai da lontano ed è tanto occulto che si po intendere simplicementedi modo che esso potea dissimularlo ed affermare non l'aver detto a quel fine.Un altro ne disse al parer mio disconveniente molto; e questo fuche passandola Regina davanti la casa pur della signora Boadigliavide Alonso la portatutta dipinta con carboni di quegli animali disonesti che si dipingono perl'osterie in tante forme; ed accostatosi alla Contessa di Castagnetodisse:"EccoviSignorale teste delle fiere che ogni giorno ammazza la signoraBoadiglia alla caccia". Vedete che questoavvegna che sia ingeniosametaforae ben tolta dai cacciatoriche hanno per gloria aver attaccate allelor porte molte teste di fierepur è scurile e vergognoso; oltra che non furispostaché il rispondere ha molto piú del corteseperché par che l'omosia provocato; e forza è che sia all'improviso. Ma tornando a proposito delleburle delle donnenon dico io che faccian bene ad ingannare i maritima dicoche alcuni di quegli inganni che recita Giovan Boccaccio delle donne son bellied ingeniosi assaie massimamente quelli che voi proprio avete detti. Masecondo mela burla di Riciardo Minutoli passa il termine ed è piú acerbaassai che quella di Beatriceché molto piú tolse Riciardo Minutoli allamoglie di Filippelloche non tolse Beatrice ad Egano suo marito; perchéRiciardo con quello inganno sforzò colei e fecela far di se stessa quello cheella non voleva; e Beatrice ingannò suo marito per far essa di se stessa quelloche le piaceva -.

XCIV.

Allor il signor Gasparo- Per niuna altra causa- dissesipo escusar Beatrice eccetto che per amore; il che si deve cosí ammettere negliominicome nelle donne -. Allora messer Bernardo- In vero- rispose-grande escusazione d'ogni fallo portan seco le passioni d'amore; nientedimeno ioper me giudico che un gentilomo di valore il quale amidebbacosí in questocome in tutte l'altre coseesser sincero e veridico; e se è vero che siaviltà e mancamento tanto abominevole l'esser traditore ancora contra un nemicoconsiderate quanto piú si deve estimar grave tal errore contra persona ches'ami; ed io credo che ogni gentil innamorato tolleri tante fatichetantevigiliesi sottoponga a tanti pericolisparga tante lacrimeusi tanti modi evie di compiacere l'amata donnanon per acquistarne principalmente il corpomaper vincer la ròcca di quell'animospezzare quei durissimi diamantiscaldarque' freddi ghiacciche spesso ne' delicati petti stanno di queste donne; equesto credo sia il vero e sodo piacere e 'l fine dove tende la intenzione d'unnobil core; e certo io per me amerei meglioessendo innamoratoconoscerchiaramente che quella a cui io servissi mi redamasse di core e m'avesse donatol'animosenza averne mai altra satisfazioneche goderla ed averne ogni copiacontra sua voglia; ché in tal caso a me pareria esser patrone d'un corpo morto.Però quelli che consegueno e suoi desidèri per mezzo di queste burlecheforse piú tosto tradimenti che burle chiamar si porianofanno ingiuria adaltri; né con tutto ciò han quella satisfazione che in amor desiderar si devepossedendo il corpo senza la voluntà. Il medesimo dico d'alcun'altriche inamore usano incantesinimalie e talor forzatalor sonniferi e simili cose; esappiate che li doni ancora molto diminuiscono i piaceri d'amoreperché l'omopo star in dubbio di non essere amatoma che quella donna faccia dimostraziond'amarlo per trarne utilità. Però vedete gli amori di gran donne essereestimatiperché par che non possano proceder d'altra causa che da proprio evero amorené si dee credere che una gran signora mai dimostri amare un suominorese non l'ama veramente -.

XCV.

Allor il signor Gaspar- Io non nego- rispose- che laintenzionele fatiche e i periculi degli innamorati non debbano averprincipalmente il fin suo indrizzato alla vittoria dell'animo piú che del corpodella donna amata; ma dico che questi inganniche voi negli omini chiamatetradimenti e nelle donne burleson ottimi mezzi per giungere a questo fineperché sempre chi possede il corpo delle donne è ancora signor dell'animo; ese ben vi ricordala moglie di Filippellodopo tanto ramarico per lo ingannofattoli da Riciardoconoscendo quanto piú saporiti fossero i basci dell'amanteche que' del maritovoltata la sua durezza in dolce amore verso Riciardotenerissimamente da quel giorno innanzi l'amò. Eccovi che quello che non aveapotuto far il sollicito frequentarei doni e tant'altri segni cosí lungamentedimostratiin poco d'ora fece lo star con lei. Or vedete che pur questa burlao tradimentocome vogliate direfu bona via per acquistar la ròcca diquell'animo -. Allora messer Bernardo- Voi- disse- fate un presupostofalsissimoché se le donne dessero sempre l'animo a chi lor tiene il corponon se ne trovaria alcuna che non amasse il marito piú che altra persona delmondo; il che si vede in contrario. Ma Giovan Boccaccio eracome sète ancorvoia gran torto nemico delle donne -.

XCVI.

Rispose il signor Gaspar: - Io non son già lor nemico; maben pochi omini di valor si trovanoche generalmente tengan conto alcuno didonnese ben talor per qualche suo disegno mostrano il contrario -. Risposeallora messer Bernardo: - Voi non solamente fate ingiuria alle donnema ancor atutti gli omini che l'hanno in riverenzia; nientedimeno iocome ho dettononvoglio per ora uscir del mio primo proposito delle burle ed entrar in impresacosí difficilecome sarebbe il diffender le donne contra voiche sètegrandissimo guerriero; però darò fine a questo mio ragionamentoil qual forseè stato molto piú lungo che non bisognavama certo men piacevole che voi nonaspettavate. E poich'io veggio le donne starsi cosí chete e supportar leingiurie da voi cosí pazientemente come fannoestimarò da mo innanzi esservera una parte di quello che ha detto el signor Ottavianocioè che esse non sicurano che di lor sia detto male in ogni altra cosapur che non siano mordutedi poca onestà -. Allora una gran parte di quelle donneben per averle lasignora Duchessa fatto cosí cennosi levarono in piedi e ridendo tutte corseroverso il signor Gasparocome per dargli delle bussee farne come le Baccantid'Orfeotuttavia dicendo: - Ora vedretese ci curiamo che di noi si dica male-.

XCVII.

Cosítra per le risatra per lo levarsi ognun in piediparve che 'l sonnoil quale omai occupava gli occhi e l'animo d'alcunisipartisse; ma il signor Gasparo cominciò a dire: - Eccovi che per non averragione voglion valersi della forza ed a questo modo finire il ragionamentodandocicome si sòl direuna licenzia braccesca -. Allor- Non vi verràfatto- rispose la signora Emilia; - chépoiché avete veduto messer Bernardostanco del lungo ragionareavete cominciato a dir tanto mal delle donneconopinione di non aver chi vi contradica; ma noi metteremo in campo un cavalierpiú frescoche combatterà con voiacciò che l'error vostro non sia cosílungamente impunito -. Cosí rivoltandosi al Magnifico Iulianoil qual finallora poco parlato aveadisse: - Voi sète estimato protettor dell'onor delledonne; però adesso è tempo che dimostriate non aver acquistato questo nomefalsamente; e se per lo addietro di tal professione avete mai avutoremunerazione alcunaora pensar dovetereprimendo cosí acerbo nemico nostrod'obligarvi molto piú tutte le donnee tanto cheavvegna che mai non sifaccia altro che pagarvipur l'obligo debba sempre restar vivoné mai sipossa finir di pagare -.

XCVIII.

Allora il Magnifico Iuliano- Signora mia- risposeparmiche voi facciate molto onore al vostro nemico e pochissimo al vostro diffensore;perché certo insin a qui niuna cosa ha detta il signor Gasparo contra le donneche messer Bernardo non gli abbia ottimamente risposto; e credo che ognun di noiconosca che al cortegiano si convien aver grandissima riverenzia alle donneeche chi è discreto e cortese non deve mai pungerle di poca onestànéscherzando né da dovero; però il disputar questa cosí palese verità è quasiun metter dubbio nelle cose chiare. Parmi ben che 'l signor Ottaviano sia unpoco uscito de' terminidicendo che le donne sono animali imperfettissimi e noncapaci di far atto alcuno virtuoso e di poca o niuna dignità a rispetto degliomini; e perché spesso si dà fede a coloro che hanno molta autorità se bennon dicono cosí compitamente il veroed ancor quando parlano da beffehassiil signor Gaspar lassato indur dalle parole del signor Ottaviano a dire che gliomini savi d'esse non tengon conto alcuno; il che è falsissimo; anzipochiomini di valore ho io mai conosciutiche non amino ed osservino le donne; lavirtú delle qualie conseguentemente la dignitàestimo io che non sia puntoinferior a quella degli omini. Nientedimenose si avesse da venire a questacontenzionela causa delle donne averebbe grandissimo disfavore; perché questisignori hanno formato un cortegiano tanto eccellente e con tante divinecondizioniche chi averà il pensiero a considerarlo taleimaginerà i meritidelle donne non poter aggiungere a quel termine. Mase la cosa avesse da esserparibisognarebbe prima che un tanto ingenioso e tanto eloquente quanto sono ilconte Ludovico e messer Federicoformasse una donna di palazzo con tutte leperfezioni appartenenti a donnacosí come essi hanno formato il cortegiano conle perfezioni appartenenti ad omo; ed allor se quel che diffendesse la lor causafosse d'ingegno e d'eloquenzia mediocrepenso cheper esser aiutato dallaveritàdimostraria chiaramente che le donne son cosí virtuose come gli omini-. Rispose la signora Emilia: - Anzi molto piú; e che cosí siavedete che lavirtú è femina e 'l vicio maschio -.

XCIX.

Rise allor il signor Gasparoe voltatosi a messer NicolòFrigio- Che ne credete voiFrigio? - disse. Rispose il Frigio: - Io hocompassione al signor Magnificoil qualeingannato dalle promesse e lusinghedella signora Emiliaè incorso in errore di dir quello di che io in suoservizio mi vergogno -. Rispose la signora Emilia pur ridendo: - Ben vivergognarete voi di voi stesso quando vedrete il signor Gasparoconvintoconfessar il suo e 'l vostro errore e domandar quel perdonoche noi non glivorremo concedere -. Allora la signora Duchessa: - Per esser l'ora molto tardavoglio- disse- che differiamo il tutto a domani; tanto piú perché mi parben fatto pigliar il consiglio del signor Magnifico: cioè cheprima che sivenga a questa disputacosí si formi una donna di palazzo con tutte leperfezionicome hanno formato questi signori il perfetto cortegiano. - Signora- disse allor la signora Emilia- Dio voglia che noi non ci abbattiamo a darquesta impresa a qualche congiurato col signor Gasparoche ci formi unacortegiana che non sappia far altro che la cucina e filare -. Disse il Frigio: -Ben è questo il suo proprio officio -. Allor la signora Duchessa- Io voglio- disse- confidarmi del signor Magnificoil qualper esser di quello ingegnoe giudicio che èson certa che imaginerà quella perfezion maggiore chedesiderar si po in donna ed esprimeralla ancor ben con le parole; e cosíaveremo che opporre alle false calunnie del signor Gasparo -.

C.

- Signora mia- rispose il Magnifico- io non so come bon consiglio sia ilvostro impormi impresa di tanta importanziach'io in vero non mi vi sentosufficiente; né sono io come il Conte e messer Federicoi quali con laeloquenzia sua hanno formato un cortegiano che mai non fu né forse po essere.Purse a voi piace ch'io abbia questo caricosia almen con quei patti chehanno avuti quest'altri signori: cioè che ognun possa dove gli pareràcontradirmich'io questo estimarò non contradizionema aiuto; e forse colcorreggere gli errori meiscoprirassi quella perfezion della donna di palazzoche si cerca. - Io spero- rispose la signora Duchessa- che 'l vostroragionamento sarà taleche poco vi si potrà contradire. Sí che mettete Purl'animo a questo sol pensiero e formateci una tal donnache questi nostriavversari si vergognino a dir ch'ella non sia pari di virtú al cortegiano; delquale ben sarà che messer Federico non ragioni piúché pur troppo l'haadornatoavendogli massimamente da esser dato paragone d'una donna. - A meSignora- disse allor messer Federico- ormai poco o niente avanza che dirsopra il cortegiano; e quello che pensato avevaper le facezie di messerBernardo m'è uscito di mente. - Se cosí è- disse la signora Duchessa-dimani riducendoci insieme a bon'oraaremo tempo di satisfar all'una cosa el'altra -. E cosí detto si levarono tutti in piedi; e presa riverentementelicenzia dalla signora Duchessaciascun si fu alla stanzia sua.